DESCRIZIONE
DEL SITO
L'Argimusco
(o Argimosco) è una vasta
contrada del Comune di Montalbano
Elicona sita a 1200 mt. Dal
luogo si gode uno splendido panorama
che spazia tra le Isole Eolie
e l'Etna. L'area
è caratterizzata da numerose
grandi strutture rocciose rassomiglianti a varie forme umane e
animali. I megaliti
dell’Argimusco rappresentano
uno dei rari esempi di sistemi
megalitici in Italia,
un sito archeo-astronomico,
noto a pochi, dove dominano silenziose pietre millenarie.
Il
sito si trova esattamente sulla diagonale nord che parte dalla
vecchia Etna (edificio
vulcanico del Trifoglietto,
oggi sprofondato), passa dall’ Argimusco,
dalla Rocca di Tindari
e arriva all’Isola di Panarea.
In
tre nostri precedenti studi, Paul Devins“Il mistero
dell'Argimusco” 2010 ISBN
978-1-4466-4343-3, Paul Devins “La scoperta dell'Argimusco”
2011 ISBN 978-1-4466-0438-0, Paul Devins “Considerazioni
propedeutiche alla vendicazione di Arnau
de Vilanova” 2012 ISBN 9781471071973, abbiamo per primi rivelato
che le costellazioni coincidono
nell’ordine di dieci su dieci (Cigno,
Freccia, Aquila,
Serpente, Ofiuco,
Vergine, Leone,
Corvo, Idra
e Cratere) con dei grandi
megaliti siti nell'area
e sono poste sull'orizzonte, dopo il tramonto nei mesi estivi, giugno
in particolare, nello stesso ordine e sequenza, da est ad ovest.
I
megaliti
sono in relazione con le costellazioni
celesti, non in allineamento,
come negli altri siti megalitici
del mondo1,
ma quale SPECCHIO
delle stesse costellazioni2.
In particolare tutte le costellazioni
poste sulla linea
dell’orizzonte si specchiano “toccando” quasi sul terreno le
proprie controfigure megalitiche
sull’Argimosco.
“Quod
est inferius est sicut quod est superius, et quod est superius est
sicut quod est inferius”,
il famoso incipit della Tabula
Smaragdina di Ermete
Trismegisto sembra che qui trovi totale applicazione.
Utilizzando
il programma “Stellarium” o altri programmi simili chiunque può
al PC verificare la precisa coincidenza tra i megaliti
e le costellazioni dopo il
tramonto nei mesi di maggio, giugno e luglio tra il 1.300 d.C. e il
1.700 d.C. (e ancora oggi).
Altra
scoperta che facemmo era che alcuni megaliti,
posti all'ingresso del sito, da altri considerati quali simboli
sessuali legati ad antichi riti per la fertilità risalenti
all'epoca dei ciclopi, sono,
invece, la perfetta riproduzione di simboli (pellicano,
civetta, alambicco,
etc.) del cristianesimo
medievale in uso presso i religiosi francescani, molti di loro
all'epoca dediti all'alchimia.
Nell'ultimo libro abbiamo, infine, anche ipotizzato che due
strutture, un arco scavato nella roccia a forma di sestante
e una vasca, site su una rupe
da cui si domina il sito, fossero state utilizzate per finalità di
medicina astrale e per la
somministrazione di salassi in
particolare.
Abbiamo
scritto che documenti del 1282, del 1308 e del 1352 attestano una
frequentazione del sito da parte dei re Aragonesi ed, in particolare,
da parte di Federico III
d’Aragona che mandava
dall'Argimusco i propri
documenti diplomatici. Il medico di Federico era Arnau
de Vilanova, ovvero l’alchimista
più noto dell’Europa medievale, che sarebbe stato sepolto proprio
nel castello di Montalbano.
Mappe
geografiche del 1600 e del 1700 indicano il sito con la stessa
rilevanza di un Comune di media
importanza. Nobili, alchimisti, e, secondo le leggende locali,
streghe avrebbero frequentato i
luoghi. Abbiamo ipotizzato che tanto era perché la funzione del sito
sarebbe stata legata a misteriose (ma ben documentate) pratiche di
medicina astrale per la
rigenerazione del corpo fisico.
Dopo
le intuizioni qui citate, oggi intendiamo trovare conferme
scientifiche o meno rispetto a quelle tesi. In questa opera
sottoporremo, pertanto, le tesi sopraccitate ad un rigoroso confronto
con le fonti storiografiche al fine di rigettare o asseverare la
nostre tesi che hanno fanno risalire al Medioevo la realizzazione
dell'opera. In caso contrario, laicamente saremo pronti a condividere
la tesi maggioritaria che fa discendere l'origine del sito a non
meglio precisati tempi preistorici e a leggendari Ciclopi o Giganti
la realizzazione.
Il
tentativo è arduo. Mentre la tesi preistorica non può essere per
definizione supportata da prove storiografiche ma solo da evidenze
molto labili quali supposti allineamenti astronomici o da evidenze
per forza di cose non precise quali il test del carbonio 14 (causa la
frequentazione diacronica dei luoghi in esame), la tesi medievale
dovrà essere inevitabilmente sottoposta ed una scientifica ed
impietosa analisi delle fonti storiografiche che confermino o meno la
coerenza degli ipotizzati modelli “culturali” medievali usati sul
sito fino ad arrivare ad una inevitabile ricerca delle prove sulla
eventuale committenza e sulla dotazione finanziaria necessaria per la
realizzazione dell'opera. Non sarà facile.
Siamo
però in premessa. Anticipato l'arduo lavoro che ci attende, torniamo
ad osservare il cielo.
Ancora
oggi, le dieci costellazioni si
specchiano sui megaliti del
sito dopo il tramonto, nelle tiepide sere tra il mese di maggio e
quello di luglio.
La
tecnologia ci consente, paradossalmente, di riprendere un millenario
rapporto che proprio la stessa tecnologia moderna aveva interrotto:
quello con il cielo.
Se
saliamo sull’altipiano e ci mettiamo rivolti con la faccia a sud al
centro del pianoro, tenendo il megalite
dell’Aquila sulla nostra
sinistra e il megalite della
cosiddetta Orante sulla nostra
destra, si potrà cogliere il senso dell’immenso “talismano
stellare” realizzato
sull’Argimusco. Da est ad
ovest possiamo vedere il susseguirsi dei megaliti/costellazioni
nella stessa sequenza, “in
cielo come in terra”.
Cominciamo
ora una breve visita ai luoghi... Dopo partiremo per un viaggio nel
tempo alla ricerca di chi concepì e realizzò
il sito megalitico. Alla fine cercheremo di scoprire anche per quali
fini...
Ad
est ammiriamo la grande Aquila.
Il megalite
tra tutti è il più facilmente riconoscibile. Esso è formato dalla
sovrapposizione di blocchi dalla facciata pentagonale. Il megalite
rappresenta un rapace, con le ali semi-spiegate e il capo rivolto
verso sud. Sullo sfondo rispetto all’Aquila,
si staglia il bellissimo cono del Monte
di Nettuno
(Rocca
di Salvatesta)3.
Sempre
ad est scopriamo appena sotto la grande Aquila
un bellissimo megalite
raffigurante inequivocabilmente un Cigno. Quasi
una statua per la precisione dell’immagine. E’ un caso che il
cigno posto sull’Argimusco
sia proprio accanto all’Aquila?
No,
poiché è così in cielo. In un resoconto di Igino4
le costellazioni
dell'aquila
e del cigno
sono, infatti, unite. Zeus
s'innamorò della ninfa Nemesi
ma, date le resistenze di lei, si trasformò in un cigno
e fece fingere ad Afrodite,
trasformata in aquila,
di cacciarlo. Nemesi
offrì riparo al cigno
in fuga, e si ritrovò fra le braccia di Zeus.
A perenne ricordo di questo trucco ben riuscito, Zeus
collocò le immagini
del cigno
e dell'aquila
nel cielo.
Vicino
l’Aquila troviamo ancora un
piccolo megalite a forma di
minuscolo rettangolo basso. Sembra una specie di Dardo,
in latino “Sagitta”. Su di
esso sono incise delle tacche.
La vicinanza con la vicina Aquila
sembrerebbe indicare una qualche funzione rispetto all’Aquila.
Ed è così, infatti. Cesare Germanico ci dice che l'aquila
era stata posta nel cielo a guardia
della freccia di Eros,
appunto, la Sagitta (Dardo)
ritratta nel megalite, che fece
innamorare Zeus del giovane
troiano Ganimede. Altrettanto
è in cielo: le costellazioni
del Cigno e del Dardo
sono accanto a quella dell'Aquila.
Nelle raffigurazioni zodiacali, l’Aquila,
ad ali spiegate, sembra precipitarsi nel cielo in direzione
dell’Acquario, costellazione
raffigurante Ganimede, e più
precisamente verso la coppa che il giovane
sembra tendere ad essa.
Secondo
Ovidio
fu Zeus
stesso ad assumere le sembianze dell’uccello. In un'immagine
estratta dalla III Tavola del Mutus
Liber alchemico, l’aquila
è accanto a Zeus. La
strana faccia che si vede nel lato dell’Aquila
che dà ad ovest, e di cui si distinguono le cavità degli occhi e la
bocca, è, pertanto, Zeus
dissimulato sotto le penne dell’Aquila
in cui si era trasformato per volare da Ganimede5.
Giove
è colto nell'atto della trasformazione in Aquila
(si veda in proposito l'Iliade
di Omero
(X, 265-267), le Metamorfosi
di Ovidio
(X, 148-161) e Eneide
di Virgilio,
V, 249-255, etc.). Nessun'altra cultura precedente a quella greco
romana associa l'Aquila
ad un essere umano. L'Aquila
è già connessa a Giove
nel mito di Prometeo6
e nel mito della lotta tra Saturno
e i suoi figli.
Continuando
al centro del pianoro, di fronte a noi, vediamo una testa di quello
che sembra un “Serpente”
megalitico
il cui muso punta a nord ed esattamente verso l’isola di
Panarea. Del
serpente
ammiriamo il rilievo sulla cavità degli occhi e il
muso, ritratti quasi fotograficamente. L’aquila
è, com’è noto, il più grande cacciatore di serpenti e nel cielo
le costellazioni
del Serpente
e dell'Aquila
sono poste uno accanto all’altro. In cielo, il serpente
viene, però, tenuto nelle mani da un uomo di profilo chiamato
“Ofiuco”,
“Serpentario”
o “Asclepio”7.
Se
guardiamo il pianoro dalla
collina alta a sud, laddove passa appunto la schiena del serpente,
e rivolgiamo lo sguardo a nord, ammiriamo la cosiddetta “Grande
Rupe”. Essa è un’immenso megalite
che ha, nella parete rivolta ad est, il profilo di un volto di un
vecchio, quasi un Moai
dell’isola di Pasqua. Il megalite
è quello che resta di un'antica cava di conglomerato:
in essa sono ancora visibili i lavori per l'estrazione delle grandi
pietre alzate e lavorate sul sito (l'aquila
e il serpente). Nella parete rivolta ad ovest si nota il profilo
sprezzante di un giovane che
guarda, con fronte rivolta verso l’alto, il sole
del tramonto. La doppia raffigurazione fa pensare alla divinità
ctonia del Giano bifronte
Italico, poi adottato nella religione romana, che con il mese a lui
dedicato faceva iniziare l’anno.
Bene,
così come in cielo anche sull’Argimusco,
il Serpentario, anche qui
ritratto di profilo, è vicino al serpente.
La connessione mitologica con il serpente
ce la dice ancora Igino.
Asclepio
una volta ne uccise uno. Il serpente,
però, miracolosamente resuscitò, grazie a un'erba che un altro
serpente
gli appoggiò sopra. Da allora Asclepio
usò quell'erba per resuscitare i morti. Il serpente,
dunque, nel contesto simbolico dell’area
rappresenta la rinascita perché ogni anno muta pelle: ancora oggi,
tra l’altro, il serpente
intrecciato attorno alla verga (il caduceo di Ermete)
rappresenta la scienza medica8.
Cosa
viene ora in cielo? Il programma Stellarium ci mostra, accanto ad
Ofiuco, la Vergine
con il mano la spiga e
l’omonima stella Spiga,
appunto. Così anche sull’Argimusco:
accanto ad Ofiuco vi sta il
megalite bellissimo
dell’Orante, la “Vergine”.
Essa
è una misteriosa figura androgina alta ventisei metri con le mani
giunte in atteggiamento di preghiera. Si nota il gomito, il peplo, il
ginocchio, il copricapo da suora sul capo, e financo, il piedistallo,
alla base. Particolare fondamentale, in alto sul megalite
della Vergine si trova una
vasca rettangolare, che è,
a nostro avviso, l’elemento clou di tutto il grande teatro
di pietra. Tra poco ne parleremo.
La
costellazione della Vergine
- secondo i greci
- rappresentava Astrea,
o Dike, la Giustizia, figlia di Zeus
e di Temi, che diffondeva fra
gli uomini la bontà e la giustizia al tempo dell'Età
dell'oro. Ma, finita la mitica età ed essendosi la malvagità
impadronita del mondo, Dike prese a odiare il genere umano e fuggì
in cielo. “Iam redit et Virgo”,
scriveva Virgilio per
annunciare il ritorno della costellazione
della Vergine.
La
Vergine rappresenta il centro e
l’essenza principale dello “Specchio
del Cielo” messo in scena sull’’Argimusco,
poiché tutte le altre figure svolgono un ruolo ancillare rispetto ad
essa. La vasca sopra di essa,
lo vedremo, ne è la conferma. Certamente, questa Vergine
non può essere accostata a Demetra
poichè senza porcellino da latte, a Cibele
poiché senza leoncino, a Iside
poiché senza Horus, etc..
Domandiamoci
ora dopo la Vergine chi viene
in cielo? La risposta è immediata la costellazione
del Corvo, animale sacro alla
Vergine. E sull’Argimusco?
Ovvio, il megalite del Corvo.
Ritorniamo
al centro del pianoro. Là, al centro della stessa Grande
Rupe, vediamo una enorme raffigurazione di un “Corvo”
con il petto gonfio e il becco rivolto verso il cielo. Il corvo
è sostenuto da grandi megaliti
inseriti accanto che gli impediscono di cadere.
Fa impressione vedere un enorme cuneo messo dietro la schiena del
corvo per reggerlo (quali
argani sono stati utilizzati?).
Alla
luce delle stelle,
di notte, l’ombra del corvo,
assume un contorno perfetto ed inquietante, al contempo.
Quale
il rapporto tra il Corvo e
Asclepio, posti nella stessa
Grande Rupe?.
La
leggenda, riportata da Igino,
narra che Coronis tradì Apollo
con un mortale, Ischys, mentre
era incinta di un figlio di Apollo,
ovvero Asclepio. Un corvo,
uccello che fino a quel momento era stato candido, portò al dio la
brutta notizia ma, invece della ricompensa che si aspettava, fu
maledetto dal dio che lo fece diventare nero. In un impeto di gelosia
Apollo colpì Coronis con una
freccia. Piuttosto che vedere
il suo bambino, Asclepio,
morire con lei, il dio strappò il feto dal grembo della madre,
mentre le fiamme della pira funeraria l'avvolgevano,
e lo affidò a Chirone, il
centauro saggio (rappresentato
nel cielo dalla costellazione del Centauro).
Se,
rimanendo fermi, ora andiamo più avanti
con lo sguardo nel vasto pianoro, ad ovest, dietro i principali
complessi megalitici notiamo
enigmatiche formazioni di pietra.
Una
formazione sembra lo scheletro della schiena di un enorme rettile,
mentre accanto si nota un enorme megalite
a forma di contenitore. Se osserviamo il primo gruppo di
pietre da vicino, notiamo come una processione di pietre enormi.
Avvicinatici vediamo che alcune pietre sono state aggiunte
appositamente alle altre al fine di formare gli aculei della lunga
coda di un serpente
marino. Si notano, infatti, grandi massi di pietra aggiunti negli
interstizi di una grande catena rocciosa naturale. La formazione,
rappresenta un enorme “Idra”,
il mostruoso serpente
mitologico9.
Il
grande contenitore di pietra, invece, non è altro che un “Cratere”,
ovvero un contenitore utilizzato in epoca greca per mescolare vino e
acqua. Se ci avviciniamo al megalite
del Cratere notiamo,
innanzitutto, un gigantesco mestolo
megalitico in equilibrio
instabile. Che un tale megalite
possa essere sorto naturalmente è da escludere: è di tutta evidenza
che il “Mestolo” è stato
posto in quell'equilibrio strano da qualcuno.
Il
Cratere è stato appositamente
tagliato in obliquo dall’alto al fine di creare
un effetto da recipiente se visto da lontano. Per levare ogni dubbio
gli autori hanno aggiunto il grande mestolo
medievale tagliandolo di netto dalla stessa struttura del cratere.
Quale
la connessione mitologica tra Corvo,
Idra e Cratere?
E’ presto detto.
Una
leggenda antica associa l'Idra
Femmina alla costellazione del
Corvo e del Cratere
(Tazza) che si trova alle sue spalle. Secondo questa storia, il
corvo fu mandato da Apollo
a prendere acqua con la tazza, ma quello si attardò a mangiare
fichi. Quando finalmente ritornò da Apollo
diede la colpa del suo ritardo all'idra
che, a sentire lui, aveva bloccato la sorgente. Ma Apollo
sapeva che il corvo stava
mentendo, e lo punì piazzandolo in cielo in una posizione in cui
l'idra gli impedisce per
l'eternità di bere dalla tazza. E sull’Argimusco?
Come in cielo così sulla terra, dopo il tramonto tra maggio e
luglio, il Corvo, l’Idra
e il Cratere vengono, in alto
come in basso, dopo la Vergine.
Se
a questo punto saliamo sul megalite
della Vergine troviamo due
sorprese. Sul lato ovest, accanto alla Vergine
in cielo c'è il Leone. E
sull'Argimusco? Pure...
Arrivando dal pianoro centrale
troviamo, infatti, accanto alla Vergine
la costellazione del "Leone".
Come in cielo il Leone è in
alto rispetto alle altre costellazioni,
così qui il Leone è visibile
in alto rispetto al pianoro. A causa, poi, forse, delle preesistenze
rocciose utilizzate è stata posta sul lato opposto rispetto alla
Vergine celeste. Ormai rovinata
dalle intemperie, la figura di leone
è acquattata con le zampe in avanti.
Un grosso rilievo sul lato est con strisce diviene riconoscibile come
una sorta di criniera sotto una grande testa. A quel punto
diventano meglio visibili la faccia e il muso, erosi
dal tempo.
Eratostene
e Igino sostengono che il
leone fu posto in cielo perché
è il re degli animali. In termini mitologici, si ritiene sia il
leone nemeo, sconfitto da
Ercole nella prima delle sue dodici fatiche.Ercole era stato sorpreso
dalla bestia mentre viaggiava nei boschi. Il leone
gli ruppe l'armatura con i fendenti degli artigli, ed arrivò a
strappargli un dito. L'eroe era riuscito a bloccare una delle entrate
della tana della bestia e ad infilarsi nell'altra. Nel terribile
duello corpo a corpo, il leone
strappò un dito a Ercole, ma alla fine l'eroe afferrò la belva per
la testa e la folta criniera, e alla fine il leone
si accasciò a terra sconfitto. Ercole se lo caricò in spalla in
segno di trionfo e lo portò a Micene,
dove terrorizzò Euristeo, che
gli ordinò di riportarlo indietro. Ercole così fece. Alla
morte, il leone nemeo fu posto
da Zeus tra i segni
dello zodiaco, dove formò la
costellazione del leone.
Salendo
ancora sopra il megalite, su
una specie di piccola piattaforma, troviamo un “Sestante”
megalitico. Trattasi di un
manufatto, indubbiamente tracciato da mano umana. Accanto una vasca
rettangolare scavata nella roccia e più giù un piano in pendio. Sul
sestante, la vasca e il pendio torneremo tra breve. Non ce ne
dimenticheremo. Saranno fondamentali per svelare il mistero?
Se
adesso
torniamo verso l’entrata del sito, vediamo una specie di cava. Là
notiamo una grande pietra rotonda alzata con una grande fessura
verticale nel mezzo: esso rappresenta il simbolo del sale/salnitro
utilizzato dagli alchimisti per lavorare la mitica “pietra
filosofale”. In appendice mostriamo la foto del megalite
confrontata con il sottostante simbolo alchemico. La somiglianza e la
vicinanza ad altri simboli alchemici confermano l'attribuzione
simbolica al salnitro10.
All’ingresso
vi è la “firma” dell' autore del sito, perchè, lo anticipiamo,
perfetta riproduzione di simboli
alchemici e del cristianesimo
medievale.
Di
fronte al salnitro
notiamo il menhir
più alto. Da esso si vede perfettamente l’Aquila
del pianoro e il simbolo del sale,
di fronte. Se osservato dall’ingresso del sito, il menhir è
una perfetta e inquietante riproduzione del simbolo della Civetta
alchemica11.
Simbolo
della dea
Minerva
ovvero della Sapienza, la Civetta presso gli alchimisti Rosacroce
rappresentava la capacità di vedere nell’occulto12. Il
megalite
è stato realizzato
modellando un preesistente monolite congregato di piccoli ciotoli e
sabbia. Il risultato è eccellente per la resistenza agli agenti
atmosferici del materiale utilizzato e per la plasticità delle forme
ottenute, lavorate con maestria. Il simbolo della "virilità
maschile", così come definito da un'autore locale, rappresenta,
in realtà
una civetta,
lo ripetiamo, simbolo della Dea
Minerva
e della capacità di vedere nell'occulto.
Accanto
notiamo un megalite
menhir
più piccolo. Guardando da est o dalla strada sottostante notiamo che
il menhir
ritrae una sorta di animale incurvato, con un grande collo che entra
nel corpo. Il megalite
definito simbolo della "femminilità" rappresenta, in
realtà,
il Pellicano13.
Sono visibili il grande collo che penetra nel petto del volatile e le
ali ricurve di questo. Come il Cristo
dà il proprio sangue per la salvezza dei suoi figli, così il
Pellicano14
si becca il petto per dare il proprio sangue ai suoi cuccioli. Esso
è un simbolo cristiano sia cataro che cattolico: esso è riportato
nella sintesi dell'Opera illustrata alla f.92 del Rosarium
philosophorum del medico astrologo alchimista medievale Arnau
de Vilanova ed è una metafora del sacrificio del Cristo
che dà la propria vita
per la salvezza dell’umanità così come il pellicano,
nel mito medievale, dà il sangue ai propri figli beccandosi il
petto. Insomma, quella che è stata intesa da alcuni studiosi locali
come una vagina posta tra due cosce femminili e usata per riti della
fertilità preistorici non è altro che il collo ricurvo del pennuto
inserito tra le sue ali ripiegate, per come visibile in tante chiese
medievali europee.
Il
megalite è stato realizzato
modellando un preesistente grande monolite sito sul posto, un
congregato di piccoli ciotoli e sabbia. Il risultato è anche qui
eccellente per la resistenza agli agenti atmosferici del materiale
utilizzato e la plasticità delle forme ottenute.
Accanto,
come nell’iconografia Rosacroce15,
sta un grande megalite
panciuto.
A sinistra, due grandi travi di pietra: un blocco è incompleto e
viene aggiunto di un cuneo al fine di creare,
con l’altro, un triangolo, ad imitazione, seppur approssimativa, di
un manico tondo.
Trattasi
di una riproduzione dell’alambicco
degli alchimisti, chiamato “pellicano”,
ovvero di un alambicco
alchemico ove gli alchimisti distillavano
i liquidi per la produzione della Pietra
Filosofale.
E'
visibile il tubo a becco sommariamente ricavato con le sopraccitate
due travi di pietra accostate per formare un triangolo (anche con
l’uso di una cilindro di pietra su una trave) e il pallone ottenuto
simbolicamente da un preesistente grande monolite “panciuto”.
“Pellicano”
era il nome dato ad un tipo di alambicco
che presentava un piede di collegamento alla testa della cucurbita
con il capitello che rientrava con un tubo a becco nella parte
inferiore dell'apparecchio (pallone).
La
pietra è la tipica arenaria del luogo molto diversa dal congregato
dei dirimpettai civetta e
pellicano/volatile. Attorno al
“pallone” si notano alberi di agrifoglio.
Certamente
i simboli descritti, il Salnitro,
il Pellicano, l'Alambicco
e la Civetta, sono totalmente
propri della koinè culturale di impronta ispano-islamica,
diffusasi nell'Europa cristiana medievale in particolare presso i
medici-alchimisti. Essi sono tipici simboli
alchemici. Sul tema da anni, lo vedremo tra poco, è in corso una
forte polemica che mira ad espungere i testi alchemici dalla vasta
pubblicistica, del sopraccitato medico Arnau
de Vilanova, causa una supposta non paternità degli stessi testi. Ci
interessa questa polemica? Sì, e tra poco sarà chiaro perchè.
Noi
non vogliamo entrare nel vivo della polemica fine a se stessa,
osserveremo che tali polemiche fatte a tavolino hanno ignorato uno
dei luoghi ove Arnau de
Vilanova visse gli ultimi anni della sua vita
e ove scrisse alcune delle opere, da alcuni definite “aberrate”.
In tali luoghi sono, forse, le prove fisiche? Lo vedremo tra poco.
In
secondo luogo, anticipiamo che, non lontano dagli stessi luoghi, a
Palermo
nel 1872, è stato scoperto un codice appartenuto alla Famiglia
Speciale di Palermo,
codice che contiene vari testi alchemici16.
Tra questi testi ve n'è uno specificamente attribuito al medico,
Arnau
de Vilanova, il Defloratio
Philosophorum, testo fondamentale per comprendere il rapporto tra
alchimia,
astrologia
e Argimusco
nel lavoro di Arnau. Sul tema del Defloratio
torneremo, però, tra breve.
Qui
finisce il nostro viaggio introduttivo. Dalle stelle
siamo passati ad uno dei temi
più antichi della storia umana, quello dell'immortalità. Il Lapis
Philosophorum ingerito in soluzione potabile, grattato o in
qualcunque altro modo assunto, avrebbe garantito, secondo generazioni
di alchimisti, la vita eterna, e comunque, non inferiore a mille
anni.
La
Pietra
Filosofale, forse, veniva prodotta anche da Arnau
de Vilanova per come ci dice una costante tradizione alchemica. Lì
avrebbe curato con il “Lapis
philosophorum” la gotta
del Re
di Sicilia, Federico
III d'Aragona, per come ci dice anche Paracelso
che asseriva che la pietra filosofale serviva per curare la gotta17.
Sull'Argimusco
con la pietra
filosofale Arnau ha cercato anche l'eterna giovinezza? Questo è
quanto la tradizione nota ci racconta dello stesso Arnau, così come
di Christian
Rosenkreutz (fondatore dell'Ordine dei Rosacroce),
di Artefio18,
di Cagliostro,
etc...
Ci
fermiamo qui. Rischieremo, altrimenti, di andare fuori tema rispetto
ai confini di questo studio e sopratutto di divagare nel leggendario.
Noi
crediamo, invece, che le fonti storiografiche già oggi esistenti
sull'alchimia e sulla medicina
astrologica e quelle su Arnau, in particolare, già oggi possano dare
invece un concreto sostegno alle attività di ricerca tese alla
comprensione di quella scienza alchemica oggi respinta dalla scienza
moderna causa l'incomprensibilità e l'apparente illogicità dei
testi. E lo dimostreremo nel corso di questo saggio.
Intanto,
auspichiamo che, oltre a ricerche storiografiche più approfondite,
si possa parallelamente sviluppare la conoscenza dell'opera e della
vita di uno dei più
affascinanti personaggi della storia umana, Arnau
de Vilanova. Alla fine di questa sintetica presentazione dei
luoghi non ci resta che evidenziare come oggi l'Argimusco
costituisca un "unicum", un capolavoro testimonianza
dell'antica medicina astrale,
conoscenza che, a parte poche statuette
sabee salvatesi dal “deluge” mongolo, non ha lasciato altri
esempi di quella cultura
“astrolatrica”, e di tali
enormi dimensioni, in altre parti del mondo. Montalbano
Elicona e l'Argimusco
hanno, pertanto, tutte le carte in regola, secondo noi, per
candidarsi a diventare una delle più importanti mete del turismo
culturale al mondo.
Nel
prosieguo di questo libro, verrà ipotizzato come il sito megalitico
in esame possa essere probabilmente stato creato
per le cure mediche tese alla salute del Re, metafora della "salute
del popolo". Obiettivo sarebbe stato quello di applicare le
prescrizioni del diffusissimo testo medico di origine araba
"Secretum
Secretorum". 19
L'astronomo
arabo Thebit Ibn Qurra
insegnava che statue che
riproducevano le iconografie
medievali delle costellazioni
tolomaiche potevano trasmettere
l'influsso delle stelle anche
per finalità mediche.
E'
possibile che il medico sopraccitato, Arnau
de Vilanova, possa avere diretto la realizzazione
di statue di pietra, sfruttando
la preesistente conformazione geologica
del sito vicino alla Regia
Aedes di Montalbano? Non
abbiamo, in atto, alcun elemento per dirlo.
Thebit
parlava, però, di "statuette",
mentre Arnau avrebbe creato, in
questa ipotesi, enormi statue
di pietra e le avrebbe fatte erigere nello stesso ordine delle
costellazioni visibili nel
cielo estivo. C'è differenza, o no?!?
Il
fine di Arnau sarebbe stato quello di potere ottenere l'influsso
delle costellazioni che
trasmettevano i loro attributi
alle statue sottostanti?
Arnau
potrebbe avere, insomma, applicato sull'Argimusco
le tecniche di medicina astrale
di Thebit Ibn Qurra (contenute
nel De Imaginibus di
quest'ultimo), quelle di Al-Kindi
sui raggi (contenute nel testo di questi De
Radiis Stellicis) e sopratutto, quelle descritte da Arnau in alcuni
suoi testi quali il De iudiciis
Astronomia, Speculum
Medicine, Antidotarium, De
Sigillis, De
Parte Operativa, De Regimen
Podagre, De Regimen
Sanitatis, etc.? E' una tesi di lavoro che affronteremo nel corso
dello studio.
In
quei testi, lo vedremo tra poco, descriveva con minuzia di dettagli
come attrarre i raggi delle costellazioni
dentro sigilli di pietra al
fine di curare le parti del corpo umano connesse con una data
costellazione.
Come
detto nei nostri precedenti libri, le costellazioni
ritratte sul sito coincidono nell’ordine di dieci su dieci con
quelle presenti sull'orizzonte in estate: dando le spalle a nord, da
est ad ovest, Cigno, Freccia,
Aquila, Serpente,
Ofiuco (Serpentario),
Vergine, Leone,
Corvo, Idra
e Cratere sono poste nello
stesso ordine e sequenza dei loro corrispettivi megaliti,
con l’eccezione di due costellazioni
a sud (Libbra e Scorpione)
coperte alla vista dal maestoso profilo dell’Etna.
Dopo
avere esaminato il collegamento mitologico dei megaliti
insistenti sul sito ora approfondiremo brevemente il “rapporto
culturale” dei megaliti con
le costellazioni sovrastanti.
Anticipiamo che l'iconografia medievale araba, probabilmente usata
come modello, potrebbe dare utili indicazioni al fine della soluzione
dell'enigma dell'Argimusco.
La
Costellazione del Cigno
è visibile sull’orizzonte est del cielo, prima del tramonto e
anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di
giugno del 1300 ed oggi. Il Cigno
è stato ottenuto modellando, come una statua, una preesistente
roccia conglomerato di sabbia e
ciotoli, forse trasportato dalla cava della grande
rupe, quella del Serpentario
per intenderci. Sono perfettamente leggibili la testa, il becco, gli
occhi e le ali ripiegate (a differenza che nel cielo). Il becco fruga
per terra, mentre le ali sono ripiegate plasticamente a formare la
tipica schiena ricurva del cigno.
Se le ali fossero state distese (come in cielo) ben difficilmente
esso avrebbero resistito l'usura del tempo.
Il
megalite è il primo da est ad
ovest tra quelli da noi inviduati speculari alla corrispondente
costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Il Cigno
(o Croce del Nord) è una delle
costellazioni più facili a
riconoscersi per la sua caratteristica forma a croce. La sua stella
più brillante (Deneb) forma
con Vega e Altair
il ben noto “Triangolo
estivo”. E’ immersa nelle nubi stellari della via
Lattea ed è ricchissima, oltre
che di stelle di grande
importanza, anche di oggetti non stellari estremamente rilevanti
per gli astrofili. Confina a nord con le costellazioni
di Cefeo e del Dragone, ad
ovest ancora con il Dragone e con la Lira,
a sud con la Vulpecula, ad est
con la Lucertola. E’ evidente
la somiglianza tra la sagoma disegnata dalle stelle
più luminose di questa costellazione ed un uccello in volo. Greci
e Romani lo conobbero come l’Uccello, mentre per gli Arabi
era la Chioccia.
Il
modello usato per riprodurre la costellazione del Cygnus
potrebbe essere stato quello del libro di Abd
al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986), Libro
delle costellazioni
e delle stelle
fisse (Liber
locis stellarum fixarum), 964 nella versione del
Pergamenthandschrift
M II 14120.
Il testo potrebbe essere stato nella
biblioteca di Arnau
de Vilanova? Di essa si sa con certezza che era dotata di numerosi
testi in lingua araba. Al-Sufi
visse trecento anni (903-986) prima di Arnau. Il suo testo era uno
dei più usati negli ambienti dell’astronomia
medievale. La versione qui citata è certamente successiva (1400) ma
è verosimilmente
una copia attendibile dell’originale del 964 d.C..
La
Costellazione del Dardo
(Sagitta) è visibile
sull’orizzonte est del cielo, prima del tramonto e anche, seppur
più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di giugno del 1300 ed
oggi. La Sagitta (Dardo)
è stata ricavata lavorando ed incidendo un preesistente monolite di
pietra arenaria. Sono visibili le tacche
incise sul dardo (come su altri
megaliti) al fine di consentire
la lettura delle fasi lunari
dall’osservatorio (sestante
di pietra arabo) oltre che per l’uso della sfera
di Pitagora, quest’ultima
usata per rivelazioni e previsioni sul decorso delle malattie.
Vedremo tutto inj dettaglio tra poco.
Il
megalite è il secondo da est
ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente
costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. E’ un
gruppetto di stelle abbastanza
insignificante, ma già presente tra i quarantotto segni degli
antichi cataloghi. Si trova a sud del Cigno,
a metà strada fra Albireo e Altair.
Non contiene stelle più
brillanti della 4a magnitudine, ma ospita un importante oggetto del
Catalogo Messier: M71.
A
nord confina con la Vulpecula,
ad ovest con Ercole, a sud con l’Aquila,
ad est con il Delfino.
Anche
qui il modello usato per riprodurre la costellazione della Sagitta
potrebbe essere stato quello del libro Abd
al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986), Libro
delle costellazioni e delle
stelle fisse (Liber
locis stellarum fixarum), 964 - Ms. Garrett 2259 Yehuda 4 Ramadān
1015 AH [3 January 1607] Princeton, University Library. La versione è
certamente successiva (1607) ma è verosimilmente
anch'essa una copia attendibile dell’originale del 964 d.C.. Altra
possibile versione usata è anche qui quella della Sagitta
riprodotta nel Liber
locis stellarum fixarum,
nella versione del Pergamenthandschrift
M II 141 sopraccitato.
La
Costellazione dell’Aquila
è visibile sull’orizzonte est - sud est del cielo, prima del
tramonto e anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel
mese di giugno del 1300 ed oggi. L’Aquila
è stato ottenuta aggiungendo ad un preesistente megalite
grandi lastroni di pietra tagliati e lavorati al fine di ricavare
l’apertura delle ali e la testa. Probabilmente tali lastroni sono
stati anch'essi ricavati dalla cava della grande
rupe del megalite di
Asclepio.
Nella
parte posteriore, rivolta ad ovest, del megalite
dell'Aquila è visibile una
faccia umana: come detto sopra, trattasi di Giove
colto nell'atto della trasformazione in Aquila.
Il megalite è il terzo da est
ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente
costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno.
Un
possibile modello dell'Aquila è, come per gli altri megaliti,
quello da cui gli autori avrebbero tratto buona parte delle
immagini, ovvero l'aquila
riprodotta nel libro di Abd
al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986), Liber
locis stellarum fixarum,
nella versione del Pergamenthandschrift
M II 141 di cui sopra si è fatto cenno.
L’Aquila
é una costellazione tipicamente estiva, dominata dalla luminosissima
Altair (che con Deneb
e Vega forma il cosiddetto
“Triangolo estivo”). Nel
pieno dell’estate, si trova in direzione sud nelle prime ore della
notte, alta sull’orizzonte e in condizioni ideali
per l’osservazione. La sua tipica forma ad aquilone è facilmente
osservabile a nord del Sagittario
e del Capricorno, e a sud della
piccola costellazione della Freccia
(Sagitta), che a sua volta è
dominata verso nord dall’imponente croce del Cigno. I
confini della costellazione sono: a nord con la Freccia
e, limitatamente all’angolo nordovest, con Ercole; ad ovest, oltre
ad Ercole, abbiamo Ofiuco, il
Serpente (Coda), lo Scudo;
a sud le due costellazioni
zodiacali del Sagittario e del
Capricorno; ad est l’Acquario.
L’Aquila culmina a mezzanotte
verso la fine di luglio. L’oggetto più importante della
costellazione è probabilmente Altair,
una delle stelle più
splendenti del cielo. Già un modesto binocolo è in grado di
mostrare la grande nebulosa oscura B 143, visibile anche ad occhio
nudo sullo sfondo della Via
Lattea, circa 1° a nordovest
di gamma Aquilae. La
costellazione annovera diverse stelle
doppie di un certo interesse ed alcuni altri oggetti celesti anche se
nessuno di questi può dirsi particolarmente cospicuo.
La
Costellazione del Serpente
è visibile sull’orizzonte sud del cielo, prima del tramonto e
anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di
giugno del 1300 ed oggi. Il Serpente
è stato ottenuto da un monolite tagliato e separato dalla roccia,
probabilmente dalla Rupe del Serpentario. Esso è stato poggiato su
una base di roccia e lavorato al fine di ricavare la forma della
caput o testa (quella che si vede non è la cauda o coda del
serpente). Sono visibili
gli occhi e il muso sporgente. Il megalite
è il quarto da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare
alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di
giugno. Il Serpente, che è
uno degli originari quarantotto segni degli antichi, in passato era
una grande costellazione che faceva un tutt’uno con Ofiuco,
il Serpentario. Oggi (da alcuni
secoli) viene invece divisa in due parti, divise appunto nel mezzo da
Ofiuco: Serpens
Cauda (la Coda del Serpente) e
Serpens Caput (la Testa del
Serpente). Quest’ultima é
facilmente rintracciabile a sud della Corona
Boreale, mentre la Coda si
estende fino ai confini dell’Aquila,
a nordovest dello Scudo.
In
conformità all’ipotesi avanzata
in questo libro il suo realizzatore
avrebbe usato quale modello per il serpente
delle immagini tratte da alcuni
testi arabi. Un testo è stato
il Libro delle stelle fisse'
(Kitāb suwar al-kawākib
al-ṯābita) di ‛Abd
al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986). Ms Arabe 5036 c.
1430-1440, nella versione della Samarkand-Paris,
Bibliothèque Nationale de
France. Questa versione è certamente, come detto sopra del 1400, ma
è una copia verosimile
dell’originale di Al-Sufi del
964 d.C.. Altra versione che potrebbe essere stata usata è quella
che vede insieme Serpentario e
Serpente ovvero quella del
Manoscritto della Bodleian
Library, Oxford, manuscript Marsh 144.
La
Costellazione di Asclepio
(o Serpentario) è visibile
sull’orizzonte sud del cielo, prima del tramonto anche, seppur più
in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di giugno del 1300 ed oggi.
Asclepio è stato ricavato da
una preesistente rupe scavandola
e lavorandola al fine di ricavare la forma del profilo. Sono visibili
il naso, il mento e il cranio. Il megalite
è il quinto da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare
alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di
giugno. Esso viene citato da Arnau
de Vilanova nell’Antidotarium
per le cure da avvelenamento da serpenti quale sigillo non
zodiacale.
La
costellazione di Ofiuco (il
Serpentario) é un vero
crocevia celeste: si trova infatti a metà strada tra polo nord e
polo sud, e tra gli equinozi di primavera e d’autunno. L’eclittica
attraversa le sue regioni meridionali e quindi, anche se non fa parte
dei tradizionali segni zodiacali, avrebbe tutto il diritto di essere
considerata la tredicesima costellazione dello zodiaco.
I
suoi confini sono delimitati a nord da Ercole, ad ovest dalla Testa
del Serpente, dalla Bilancia
e dallo Scorpione; a sud ancora
dallo Scorpione, e ad ovest dal
Sagittario, dalla Coda del
Serpente e dall’Aquila.
E’
una costellazione molto estesa, e ricca di oggetti straordinariamente
interessanti, oltre che cinque stelle
al di sopra della terza magnitudine. La stessa sua vastità, però,
contribuisce a renderla non facilmente riconoscibile ad occhi non
esperti. Tra gli oggetti di grande interesse di Ofiuco,
oltre ad alcune stelle di
notevole importanza, ricordiamo il complesso di gas e polveri che
circonda r Ophiuchi e i numerosi
ammassi globulari: Ofiuco é
appunto una delle costellazioni
più ricche di questi affascinanti oggetti, e tra i 20 racchiusi tra
i suoi confini se ne contano ben 7 inclusi nel Catalogo
Messier.
Nelle
più antiche carte stellari era tutt’uno con la costellazione
del Serpente; oggi, invece,
quest’ultima é divisa in due tronconi (Caput e Cauda) da Ofiuco.
La
versione del libro di Al-Sufi
che potrebbe essere stata usata è quella che vede insieme
Serpentario e Serpente
ovvero quella del Manoscritto della Bodleian
Library, Oxford, manuscript Marsh 144. Ulteriore possibilità è
quella della versione del Ms Arabe 5036 c. 1430-1440, Samarkand
-Paris, in posesso della Bibliothèque
Nationale de France.
La
Costellazione del Leone
è visibile sull’orizzonte sud - sud ovest del cielo, prima del
tramonto e fino alle ore 01.00 nel mese di giugno del 1300 ed oggi.
Il Leone è stato ricavato da
un preesistente monolite incidendolo e lavorandolo al fine di
ricavare la forma di un leone
sdraiato. Sono visibili, molto erosi,
la criniera e le zampe distese. Il megalite
è il sesto da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare
alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di
giugno. Esso è un megalite
fondamentale per il richiamo al sigillo riproducente la
costellazione del Leone
che fu usato da Arnau da Vilanova per curare il Papa
Bonifacio VIII. Nelle
opere Speculum Medicine e del
De Parte Operativa Arnau parla
delle cure con il sigillo di pietra astrale riproducente il
Leone. E’ una delle
costellazioni più facilmente
riconoscibili, una di quelle che più giustificano, nella forma, il
nome che portano. Il gruppo é ricco di stelle
brillanti e di nebulae facilmente accessibili all’astrofilo. Nei
suoi confini si possono contare oltre 100 stelle
visibili ad occhio nudo. E da una regione situata all’interno della
Falce (la Testa) ha origine lo
sciame delle Leonidi, il più
spettacolare fenomeno celeste mai visto dall’uomo in tempi moderni.
E’
la quinta tra le costellazioni
zodiacali. Confina a nord con l’Orsa
Maggiore e il Leoncino, ad
ovest con il Cancro e il
Sestante, a sud con il
Sestante stesso, il Cratere
e la Vergine, ad est sempre con
la Vergine e con la Chioma
di Berenice.
La
versione del Libro delle stelle
fisse' (Kitāb suwar
al-kawākib al-ṯābita) di al-Ṣufi
potrebbe essere quella della British Library, Or. MS 5323, f,45v. Le
zampe del Leone per come
ritratte nel manoscritto coincidono, infatti, con quelle del
megalite sull’Argimusco
poiché distese in avanti. La
coda per ovvi motivi statici non è, però, alzata come nel disegno.
La
Costellazione della Vergine
è visibile sull’orizzonte sud - sud ovest del cielo, prima del
tramonto e fino alle ore 01.00 nel mese di giugno del 1300 ed oggi.
La Vergine è stata ricavata
sul lato sud di una preesistente rupe incidendolo al fine di ricavare
il profilo di una vergine/monaca
orante. La figura di donna
orante non ha un bambino in
braccio, come nell'iconografia della dea
Iside (Horus) o della Beata
Vergine Maria né la figura reca un porcellino tra le mani, come la
dea greca Demetra.
La figura della Vergine è
stata prodotta, verosimilmente,
in epoca medievale poiché la figura ha una veste lunga ed è in
preghiera, con le mani giunte, come una suora, di cui si distingue il
copricapo. Per come vedremo in prosieguo del libro, abbiamo
ipotizzato che, escluse altre ipotesi mitologiche o ipotesi di altre
figure iconografiche storiche e preistoriche, tale figura potrebbe
corrispondere ad un grande personaggio storico vissuto sul territorio
ed oggi totalmente rimosso dalla memoria collettiva, la grande regina
Eleonora d’Angiò, moglie di
Federico III. Questa regina di forte fede e pratica religiosa
spirituale francescana, visse certamente per lunghi anni e almeno nel
periodo estivo nel vicino castello di Montalbano.
Anticipiamo
quanto di seguito sostenuto dicendo che la raffigurazione della
Vergine (Orante21)
è per la veste da suora e le mani giunte in preghiera assolutamente
conforme alla opinione del medico di Federico
III re di Sicilia, Arnau
de Vilanova, sulla santità femminile. Tale visione è riscontrabile
nei consigli di etica e moralità francescana dati alla Regina
Eleonora
d'Angiò nell'opera "Informació
espiritual per al rei Frederic" dedicato al re
Federico
III e scritto nel 1310. Non è, dunque, da escludere che la figura
della costellazione
della vergine
sia anche un omaggio di Arnau alla sua discepola Eleonora
d'Angiò22.
Quest’ultima regalò ad Arnau un tabernacolo di legno inventariato
tra i beni di Arnau al n.19123
e due Chiese, quelle di Spirito
Santo e S.Caterina d'Alessandria, verosimilmente, per come vedremo in
prosieguo, in segno di ringraziamento per un'attività svolta da
Arnau a favore della Casa Reale.
Eleonora
d'Angiò trascorse in convento gli ultimi anni della sua vita,
dopo la morte di Federico, quale terziaria francescana24.
A
differenza delle altre immagini
stellari tratte dal Liber
locis stellarum fixarum di Al-Sufi
l’immagine della Vergine
riprodotta sull’Argimusco
non ha le braccia distese in basso lungo il corpo o aperte sui lati
come nelle varie versioni del libro di Al-Sufi25.
La
Vergine dell’Argimusco
ha le mani giunte in preghiera e ha il copricapo cui poco prima si
cennava. L’immagine è assolutamente simile all’unica esistente
di Eleonora
d’Angiò, ritratta in un mosaico nell’abside di sinistra della
Cattedrale di Messina
sotto la Vergine. Quest'ultima
ha le mani giunte in preghiera come la Vergine
sull’Argimusco. Per motivi
statici le braccia della Vergine
megalitica non sono distese
come quelle ritratte nel mosaico. La francescana Eleonora,
figura oggi pressochè sconosciuta ma di grande spessore storico ed
etico, è ritratta in uno dei posti più suggestivi al mondo. Più
avanti ipotizzeremo il perché.
La
figura della Vergine in preghiera ha le mani giunte con le dita
intrecciate all'altezza del petto. Questa è una prova, forse, tra le
più importanti sulla realizzazione
medievale del ciclo di statue megalitiche dell'Argimusco.
Anticipiamo, dunque, il tema.
Abbiamo
detto che la Vergine secondo noi è una rappresentazione della Regina
Eleonora d'Angiò. Altre prove
verranno illustrate nel corso dello studio. Ci basti per ora
semplicemente dimostrare il perchè la statua femminile con le dita
intrecciate non può essere di origine pre-cristiana.
Nell'antichità
pregare con le dita intrecciate, in Italia
come in Sicilia, era vietato sia durante l'epoca greca che durante
l'epoca romana. Si intrecciavano le dita in India e in Mesopotamia.
Solo il cristianesimo portò la tradizione orientale della preghiera
a mani giunte e intrecciate, usanza considerata anzi prima di
malaugurio in occidente.
Pregare
con le mani giunte e le dita intrecciate era, infatti, assolutamente
vietato nel rito religioso romano. Frazer nel Ramo d'Oro26
cita Plinio per raccontarci di come per i Romani, durante un
consiglio di guerra o una riunione di magistrati o durante preghiere
o sacrifici o in qualunque altra occasione, nessuno poteva
accavallare le gambe o intrecciare le dita27.
In caso contrario gli astanti interrompevano qualunque attività.
Il
megalite
della Vergine
è il settimo da est ad ovest, tra quelli da noi individuati,
speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel
cielo di giugno. Esso è il megalite
fondamentale su cui sono posti la vasca
per i salassi
e l’osservatorio lunare
con il sestante
inciso al fine dell’uso della Sfera
di Pitagora
per le rivelazioni sul decorso medico e per il calcolo delle fasi
lunari
mediante l'astrolabio28.
Tra poco ne parleremo. Il sesto segno dello zodiaco
domina, con i suoi oltre 50 gradi di lunghezza (dopo l’Hydra
è la costellazione più lunga) il cielo della primavera. E’ una
delle costellazioni
più ricche di oggetti di grande importanza per l’astrofilo
evoluto, grazie all’enorme quantità di galassie osservabili anche
con strumenti medio piccoli. Confina a nord con Bootes
e la Chioma,
ad ovest con il Leone
e la Tazza, a sud con il Corvo
e l’Idra,
ad est con la Bilancia
e la Testa del Serpente.
La
costellazione è dominata da Spica,
stella di 1a magnitudine, che rappresenta tradizionalmente la spiga
di grano tenuta dalla Vergine
con la mano sinistra. La stella si localizza facilmente utilizzando
le stelle circumpolari a e g
Ursae Majoris: prolungando
circa 6 volte la diagonale tra queste due stelle
si arriva a Spica, facilmente
riconoscibile dato che è la prima stella di notevole splendore che
si incontra lungo tale percorso. Essa forma anche un evidente
triangolo equilatero con Arturo
(a Bootis) e Denebola (b
Leonis).
La
Costellazione del Corvo
è visibile sull’orizzonte sud - sud ovest del cielo, prima del
tramonto e fino alle ore 24, nel mese di giugno del 1300 Il Corvo
è stato ricavato da una preesistente rupe tagliandola e scavandola
al fine di ricavare il becco, la schiena e il petto del volatile. Il
megalite è l’ottavo da est
ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente
costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Il mito del
Corvo, Cratere
e Hydra è riportato in altra
parte di questo libro. La costellazione
del Corvo è visibile
nell’emisfero settentrionale, per chi vive a latitudini
medio-basse, da gennaio fino a maggio. Confina ad est e a nord
con la Vergine, ad ovest con la
Coppa e a sud con l’Idra.
Possono risultare di un qualche interesse per l’astrofilo un paio
di stelle doppie, una variabile
ed un curioso oggetto celeste, che per la verità necessita di
strumenti piuttosto potenti per poter essere osservato: la coppia di
galassie soprannominata le
Antenne, simile nelle fotografie a lunga posa ad un enigmatico
insetto cosmico.
Come
per gli altri megaliti
l’immagine del megalite del
Corvo è stata tratta da un
disegno del Corvo, Hydra
e Cratere riprodotti insieme
nel testo di Abd al- Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986),
Libro delle costellazioni
e delle stelle fisse (Liber
locis stellarum fixarum) nella versione in possesso della Biblioteque
Nationale de France ovvero il Ms Arabe 5036 Samarkand Paris. Questa
versione è certamente del 1400 ma dovrebbe essere una copia
attendibile dell’originale di Al-Sufi
del 964 d.C.
La Costellazione
dell’Hydra è visibile
sull’orizzonte ovest del cielo, prima del tramonto e fino alle ore
22.00, nel mese di giugno del 1300 ed oggi. La preesistente
processione di megaliti
d’arenaria è stata lavorata mediante inserimenti di enormi massi
negli spazi vuoti al fine di renderla simile alla schiena e agli
aculei dell’Hydra. Il
megalite è il nono da est ad
ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente
costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Nel Regimen
Sanitatis Arnau osserva che i giorni per i salassi sono
i giorni Lunari
nei tre mesi di maggio, settembre e aprile classificandoli come
“giorni dell’Hydra”. E’
una costellazione che si estende moltissimo in lunghezza (oltre 100°
da occidente verso oriente). La testa si trova sotto il Cancro,
e si dirige verso est tra il Leone
e la Vergine, terminando nei
pressi della Bilancia. Non é
formata da stelle
particolarmente cospicue, ma contiene un buon numero di oggetti di
notevole importanza.
La
versione del Libro delle
costellazioni e delle stelle
fisse (Liber locis stellarum
fixarum) da cui verosimilmente
venne tratta l’immagine dell’Hydra
è quella da cui è stata tratta la versione in possesso della
Biblioteque Nationale de France ovvero il Ms Arabe 5036 Samarkand
Paris e sopraccitata per la costellazione
del Corvo.
La
Costellazione del Cratere
è visibile sull’orizzonte ovest del cielo, prima del tramonto e
fino alle ore 22.00, nel mese di giugno del 1300 ed oggi. Il Cratere
è stato ricavato da un preesistente megalite
d’arenaria tagliando la sommità in obliquo al fine di renderlo
visibile dal punto x come un grande contenitore e lavorando il lato
est al fine di ricavare un enorme mestolo
con impugnatura in stile medievale.
Il
megalite è il decimo da est ad
ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente
costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Il
Cratere è una costellazione
assai poco rilevante. Confina
ad est con il Corvo, a sud con
l’Idra, a nord con la
Vergine e il Leone,
ad ovest con il Sestante e
l’Idra. Non contiene che
qualche stella doppia o variabile di scarso interesse e nessun
oggetto celeste di un qualche rilievo.
Anche
per il Cratere vale quanto
detto sopra. La versione del Libro
delle costellazioni e delle
stelle fisse (Liber
locis stellarum fixarum) da cui verosimilmente
Arnau trasse l’immagine del Cratere
è quella da cui è stata tratta la versione in possesso della
Biblioteque Nationale de France ovvero il Ms Arabe 5036 Samarkand
Paris.
Dato
come assunto che i megaliti riproducono in modo evidente dieci
costellazioni celesti, secondo la iconografia caldea e greca, per
come da noi scoperto nel 2009 e pubblicato in un testo del 2010,
abbiamo provato a cercare nelle fonti storiche traccia di una
concezione astrolatrica
riproducente le costellazioni
in statue.
I
cosiddetti sabei
di Harran,
tra il 700 e il 1020 dc, inventarono tecniche per la riproduzione
dell'immagine degli astri
in "sigilli”
o in
“statuette" di pietra per fini medici spiegate in alcune opere
arabe medievali, nel Picatrix,
nel De
Imaginibus del sabeo
Thebit
Ibn Qurra e nel De
Radiis Stellicis di Al-Kindi,
etc.. Essi fecero abbondante
riferimento ai miti astrali dello scrittore romano Igino.
Atteso che non è dato trovare nella storia e nella preistoria umana
altra concezione astrolatrica
riproducente le costellazioni
in statue
come quella sabea,
è pressochè sicuro che le enormi statue
di pietra (i megaliti)
vennero poi issate e lavorate sull' Argimusco,
qualche anno o secolo dopo quelli in cui prosperò la civiltà
ermetica sabea.
Grande ammiratore delle opere di Al-Kindi
e del sapere astrale sabeo
era il medico di Federico, Arnau
de Vilanova. Arnau apprezzava pure le tesi di Thebit
tanto che lo cita nel suo testo De
iudiciis astronomie.
I testi medici arabi
sulle virtù delle immagini
(statue)
di pietra riproducenti le costellazioni
e sull'influenza dei raggi stellari sulle stesse immagini,
vennero tutti tradotti in latino alla corte di Alfonso
X il Saggio re di Castiglia
nel 1250 e da lì portati in Sicilia
dai sovrani aragonesi oltre che dal medico catalano Arnau
de Vilanova. E' anche documentato che Arnau venne in contatto con le
idee di Al-Kindi
sulla relazione tra stelle
ed immagini
in stile sabeo
durante la sua attività accademica
a Montpellier29
Arnau
de Vilanova nelle sue opere parlò diffusamente delle costellazioni
e delle corrispondenti immagini
che le ritraggono al fine di applicazioni di medicina
astrale (melotesia). All'epoca,
nel contesto culturale arabo ispanico,
era, infatti, in gran voga la medicina
astrale. Essa, come vedremo tra poco, si basava su applicazioni di
erbe e altri preparati fatte in connessione con le fasi
lunari e sull'influenza dei
raggi stellari su statue di
pietra (o su sigilli)
riproducenti i simboli delle varie costellazioni.
In
questi ultimi tempi è aumentato lo studio da parte degli storici del
grande periodo della storia medievale catalana dominato dalla Corona
d'Aragona. La parte che più sta suscitando interesse è
l'applicazione costante e metodica delle tecniche astrologiche tanto
alla politica militare quanto alla medicina di corte. Non è un caso
che astrologi e alchimisti come Arnau
de Vilanova e Raimondo
Lullo fossero al soldo della Corona Aragonese30.
I
testi di altri autori, in particolare degli autori dei vari
Lapidaria
medievali, sopravissero fino all'epoca della Controriforma. Da quel
momento in poi le tecniche di melotesia
lentamente, a differenza dell'alchimia31
ancora più o meno viva anche se sotto traccia, scomparvero dalla
memoria collettiva dell'uomo occidentale. Fino a sparire
definitivamente ai giorni nostri. Sui luoghi dell'Argimusco
scese una cappa di silenzio e d'oblio. I locali e i forestieri in
visita ai luoghi non riuscirono più a capire il senso e lo scopo
delle grandi pietre issate e lavorate secondo forme diventate
incomprensibili. Il sonno della ragione e la non comprensione
dell'ignoto generarono, more solito, mostri. Nei secoli successivi la
ignoranza delle tecniche di medicina
astrale indusse uomini e donne a considerare il posto quale
misterioso e magico. A piccoli gruppi, di nascosto dalla feroce
Inquisizione
di Spagna,
uomini e donne si riunirono sul luogo per celebrare riti magici. Quei
riti che lo stesso Arnau
de Vilanova in un suo libro condannava senza appello32.
Vitelli
d'oro33
venivano
portati di corsa lungo il pianoro, riti di stregoneria
e sabbah vennero inscenati sui luoghi (come vedremo tra poco l'albero
di noce del sabbah delle streghe
è il simbolo della vicina Novara
di Sicilia)...
e puntuale arrivò la reazione.
Streghe
vennero a decine bruciate, secondo le tradizioni locali proprio
sull'Argimusco,
da premurosi vescovi di Patti
primi inquisitori del Regno. La superstizione occultista di alcuni
prevalse sull'immoto silenzio delle pietre … E idioti di oggi
continuano ancora a celebrare i loro “riti”, aprendo porte che è
meglio rimangano ben chiuse. Torniamo all'esame dei megaliti
dell'Argimusco
questa volta rispetto alla letteratura sui sigilli.
IL
SIGILLO DEL CIGNO
Arnoldus
Saxo, poco dopo, nel XIII secolo nel testo “Liber
de coloribus gemmarum”, contenuto nel “Liber
de Floridus”, in questo modo indicava quali virtù fossero
contenute nel sigillo raffigurante la costellazione
del Cigno: “Si
sinveneris in quo sit Signum (Sc. Cygnum) quod preest Aquario, ille
lapis procul dubio te liberabit a paralisi et a febre quartana”.
(Arnoldus Liber
Floridus 19)”. Il megalite
raffigurante la costellazione
del Cigno è presente
sull'Argimusco.
SIGILLO
DELL'AQUILA
Arnoldus
Saxo nel XIII secolo così diceva delle virtù del sigillo
raffigurante la costellazione dell'Aquila:
“Si inveneris in quo sit
Aquila qui preest
Capricorno, ille lapis
conservabit veteres honores et
novos acquiret (Arnoldus
Liber Floridus 21)”
mentre Camillo Leonardi
nel 1502 diceva: “Aquila
sive vultur cadens est
imago aquilae volantis
cum sagitta sub
pedibus, in candro et in septentrionali parte collocatur. Jovis
ac Martis naturae est.
Sed Sagitta martis
ad veneris: hae constellatione sum in lapide sculpta erunt, aut una
ipsarum gestantis veteres honores conservat, ad novos acquirere
facit, & ad victoriam conferre dicunt”.
ll sigillo megalitico
dell'Aquila è anch'esso
presente sull'Argimusco.
IL
SIGILLO DEL SERPENTARIO
Arnoldus
Saxo nel testo “Liber de
coloribus gemmarum”, contenuto nel Liber
de Floridus, nel XIII secolo così indicava le virtù del sigillo
raffigurante la costellazione del Serpentario:
“Si inveneris serpentarium
habentem serpentem
cinctum, cuius manus dextra caput tenet, cum sinistra caudam, talis
gestatus liberat hominem a veneno vel etiam bibitus ante cibum vel
post”. Camillo
Leonardi nel 1502, nel suo
Speculum Lapidum invece diceva
“Est hominis figura
habentis serpentem
cinctum, tenentis in dextra caput & in sinistra caudam. Est in
signo scorpionis & in septentrione, naturam habet Saturnis ac
Martis. Virtus eius si
in lapide sculptus est, valere contra venena, velenosorum animalium
mrsus curare: & si sotura eius bibatur facit venenum evomere sine
lesione aliqua”
Anche
Arnau de Vilanova vi fa
riferimento nel suo Antidotarium.
In esso Arnau parla di come realizzare
un particolare sigillo di pietra non zodiacale ritraente la
costellazione del Serpentario
al fine di curare gli avvelenamenti causati da morsi di serpente:
“Ex mineralibus sumuntur
gemme et mundate quarum naturas mirabilis aut artifex eruditus edotat
interdum potentiis efficacibus in sculpendo in eis effigies
constellationibus congruis ut alibi latius fertur, velut lapis quo
homo tenens serpentem
extinctum manu dextra et cauda ipsius manu sinistra invenitur in
sculpturis natura vel arte liberat hominem a veneno sumpto”,
Antidotarium, Opera, Lió 1520,
f. 244rb). ll sigillo megalitico
del Serpentario è anch'esso
presente sull'Argimusco.
SIGILLO
DELLA VERGINE
Arnoldus
Saxo, nel XIII secolo, così indicava le virtù del sigillo
raffigurante la costellazione
della Vergine:”Si
inveneris virginem insculptam habentem manus sitas ad modum crucis et
extensas, intra angulum in capite et in cathedra sedens, hic lapis
est solamen post laborem requies post infirmitatem, et in sanitate
perfectissima custodit”,
mentre nel 1502 Camillo
Leonardi: “Virgo
stolata cum veste profusa sculpta in jaspide, tenensque laurum in
manu, gestantem potentem reddit, ac facile ab obminibus impetrantem,
nec in aqua submergetur”.
Nel De Sigillis
Arnau de Vilanova così indica
come preparare il sigillo della costellazione
della Vergine: “Sigillum
est Virginis: accipe ergo purum aurum sole
existente in virgine videlicet XI die ante kalendas septmbris et fiat
inde sigillum rotundum ut supra de aliis. Et sculpatur in eo figura
Virginis dum sol est in virginie et dum malleo
ferietur dicas sic :”Exurge domine, adiuva nos et libera nos
propter nomen tuum” (…) Proprietas huius sigilli
sunt hec quoniam defendit portantem se a dolore ventris et a colica
passione. Et cito sedat orripilationem et typum febris et
cephalargiam et omnem dolorem intestinorum solvit. Et valet at multa
alia. Sigillentur autem ex eo alia medicinalia”.
ll sigillo megalitico della
Vergine è anch'esso presente
sull'Argimusco.
SIGILLO
DEL LEONE
Arnoldus
Saxo, nel XIII, secolo così diceva delle virtù del sigillo
raffigurante la costellazione
del Leone:
“Si
inveneris leonem,
hic valet ferenti ipsum contra ydropisim et egritudinem frigoris”.
Arnau curò i calcoli renali del Papa
Bonifacio
VIII con un sigillo d'oro con sopra inciso un segno del Leone,
posto sul rene con una cintura: nell'opera Speculum
Medicine e del De
Parte Operativa parla delle cure con il sigillo di pietra del Leone.
Nel De
Sigillis
così dice della preparazione del sigillo: “Sigillum
est leonis:
XI die ante kalendas augusti accipe aurum et fac inde sigillum ut
superius. Et sculpetur in eo forma Leonis(...)
et dum mallio ferietur dicas:”exurge Leo
de tribus Judas et intende iudicio meo, deus meus in causam meam”.
Postea
dicatur Psalmus:
“Iudica me deus et discerne causam meam
(...)”.
Nel De
iudiciis astronomie
Arnau
de Vilanova dice “Leo
respicit cor et os stomachi et pulmonem et epar”. Guigonis
de Caulhiaco scrisse “Et
Hermes
dixit, ut Arnaldus34
et Conciliator
testantur, quod ymago Leonis
sculpta in auro purissimo Sole
existente in Leone,
Luna,
Saturnum non respiciente nee ab eo recedente, in bracali aut in zona
de corio vituli marini aut leonis
portata, preservat a calculo”35.
Il sigillo megalitico
del leone
anch'esso presente sull'Argimusco,
accanto alle Vergine.
SIGILLO
DEL CORVO
Camillo
Leonardi nel suo Speculum
Lapidum del 1502 così diceva della proprietà del sigillo
riproducente la costellazione
del corvo: “Corvus
his cognitis vociferare incipiet: a longeque volabit ad hunc lapidem
inveniendum: & invento ad nidum accedet: tactisque ovis ut cruda
ac prolifica redibunt. Surripiatur lapis subito a nido. Cuius virtus
est divitias augere, honores praebere ac multa futura praedicere”.
Il megalite raffigurante la
costellazione del Corvo
è presente sull'Argimusco;
SIGILLO
DELL'HYDRA
Arnoldus
Saxo così raccontava le virtù del sigillo raffigurante la
costellazione dell'Hydra: “Si
inveneris lapidem in quo sit serpens
habens urnam super dorsum et corvum super caudam, qui hunc habuerit,
omnibus habundavit bonis, erit astutum et providus cura signa. Hic
lapis etiam creditur posse resistere omni nocivo. Hic enim habet
cancrum sub quo mittit caput suum, et dirigit ipsum usque ad
centaurum” (Liber
Floridus 14). Arnau de Vilanova nel Regimen Sanitatis osserva che i
giorni per i salassi sono i giorni Lunari nei tre mesi di maggio,
settembre e aprile classificandoli come “giorni dell’Hydra (“De
phlebotomandi tempore Tres insunt istis, Maius, September, Aprilis,
et sunt Lunares,
sunt velut Hydra
dies prima dies primi postremoque posteriorum, nec sanguis minui, nec
carnis anseris uti”).
Anche qui vediamo un riferimento astronomico ovvero alla Luna e alla
costellazione dell’Hydra anch'essa presente come sigillo
megalitico sull’Argimusco.
IL
TETRAGRAMMATON TEMPLARE DI
ARNAU
Dietro
il megalite
della Vergine
troviamo, infine, una prova della presenza di Arnau sull'Argimusco:
un Delta.
Il delta
si trova non a caso dietro il megalite
della Vergine.
Tra i gradi templari
vi erano, infatti, i "Cavalieri
del Delta
Sacro". Loro compito "custodire con fedeltà il tesoro
della sapienza tradizionale, sempre velandolo a coloro che non
sappiano penetrare nel "terzo
cielo". Dall'orfismo
e dal pitagorismo
sappiamo che il terzo
cielo è quello di Venere36.
Una preesistente roccia è stata rimaneggiata al fine di renderla
perfettamente triangolare, a forma di delta.
Non trattasi di una piramide, causa l'irregolarità degli altri lati.
Degli scalini sono stati poi scavati sopra di esso al fine di
consentire di salirvi sopra.
Il
delta,
oltre che essere l'antico simbolo pitagorico della Tetraktis
pitagorica, era anche il simbolo del Tetragrammaton37
ovvero il nome di Jahve
("יהוה"):
Joth,
Heth,
Van
(Vau), Heth.
Di esso Arnau tratta estesamente nel libro "Allocutio
super significatione nominis
"Thetragrammaton":
“Cum igitur ordine temporis hebrayca
lingua precedat latinam, in acceptione Sacre Scripture contemplemur
primo figuras litterales quibus in hebreo scribitur illud nomen. Sunt
autem he: "יהוה",
id est yod, he, vau, he»38.
Arnau, nel testo, riduce le lettere del nome da quattro a tre (il
delta,
appunto) per esprimere la Trinità, seguendo anche l'insegnamento
ebraico cui era stato introdotto dall'ebreo convertito Ramon
Martì.
Le
lettere del Tetragramaton dovevano
essere incise anche sui sigilli/statue,
secondo le indicazioni che lui stesso dà nel "De
Sigillis".
Il
medico Arnau, amico dei fraticelli
spirituali e beghino
convinto, era fortemente consapevole della necessità di associare
alle cure mediche, regolate dalle stelle,
anche preghiere a Dio. Cui, comunque, prescrive di rivolgersi,
soprattutto, durante la preparazione dei sigilli
astrali, per come vedremo infra.
Insomma,
l'Argimusco
non sarebbe mai stato un luogo di strane pratiche magiche o di
antichi riti sulla fertilità. E' stato creato,
come meglio spiegheremo nella pagine seguenti, per la pratica della
medicina
astrale e della medicina
alchemica in voga presso i francescani, come Ruggero
Bacone,
Arnau
de Vilanova o Giovanni
da Rupescissa.
I Francescani
spirituali39,
lo ricordiamo, venivano
protetti dalle persecuzioni e accolti in Sicilia
da Federico
III. Arnau, dopo avere scritto vari libri rivolti ai Beghini
di Provenza,
simpatizzò per gli spirituali
toscani e si rifugiò in Sicilia
per sfuggire all'Inquisizione
di Perugia.
Sui
templari
Arnau dice nel Expositio
super Apocalypsi, «ECCLESIA
LAODICIE respicit primo et principaliter septimum et ultimum tempus
Ecclesiae militantis, quod post mortem Antichristi curret usque ad
finem mundi. Secundario respicit statum regularem Christo militantem,
ram corporaliter quam spiritualiter,
ut est status Hospitalariorum et Templariorum
et Uclesii et Calatravae et similium...».
In una lettera a Giacomo
II Arnau considera i cavalieri templari
come uno dei segni positivi del settimo tempo della Chiesa
che seguirà la morte dell'Anticristo
(Ad
Jacobum Il de Templariis)40.
Il
sito è stato, dunque, ideato dal medico Arnau de Vilanova? Non è
ancora l’ora di avanzare tali ipotesi. Arnau de Vilanova è,
comunque, il più grande personaggio storico di levatura mondiale che
abbia mai vissuto nell'area.
IL
SESTANTE DI PIETRA ARABO
Il
Sestante è una trincea scavata
nella roccia, arcuata e segmentata come un sestante
per la misurazione delle fasi
lunari al fine
dell'applicazione di salassi
medici. E’ una costellazione?
La
Costellazione del Sestante
è stata catalogata dall’astronomo Hevelius
solo nel 1687. Centinaia di anni dopo la vita dell’indiziato numero
uno, Arnau de Vilanova.
A
differenza di quanto sostenuto nel nostro primo scritto sul tema41,
non si tratta di una costellazione, ma di uno strumento di lavoro
medico in pietra che associato alla sfera
di Pitagora
concorreva alla diagnosi e alla terapeutica medica.
Gli
studiosi Pantano
e Todaro, prima dei nostri scritti, individuarono correttamente
l'esistenza di un sestante
di pietra, la cui origine attribuirono ad epoche preistoriche. Di
sestanti di pietra, come quelli dell'Argimusco,
non esiste, però, alcuna prova nei periodi
precedenti all'epoca storica.
I sestanti di pietra erano,
invece, una sorta di specialità per gli astronomi
medievali arabi.
A loro viene attribuita l'invenzione e la sperimentazione di tali
strumenti per la prima volta nella storia. Il primo sestante
di pietra conosciuto venne costruito a Ray,
in Iran,
da Abu-Mahmud
al-Khujandi nel 99442.
Esso serviva per misurare l'obliquità dell'ellittica. Ad
Al-Khujandī
viene attribuita l'invenzione del sestante
che egli chiamò "Sestante
al-Fakhri (al-suds al Fakhrī), in omaggio al suo padrone: Buwayhid,
Fakhr al Dawla (976-997).
Lo strumento aveva un arco di 60
gradi su un muro allineato
lungo un arco meridiano sulla linea
nord sud.
Bene, per come ammette lo stesso studioso Todaro,
il sestante
dell’Argimusco
ha un angolo di curvatura di 60°. Inoltre il sestante
dell'Argimusco
è di pietra come quello di al-Khujandi ed è perfettamente
allineato
lungo la meridiana
sulla linea
nord sud43.
Il
più grande progresso determinato dal sestante
di al-Khujandi era che rispetto ai precedenti sestanti esso portava
la precisione della lettura in termini di secondi, mentre gli altri
permettevano
di leggere gradi e minuti.
Tale funzione era stata, in parte
ma non in toto, intuita dal Todaro che in un suo scritto affermava:
"Se si punta una stella posta sulla direzione dell’estremità
est dell’arco e se ne segue il percorso nel cielo fino a
raggiungere l’estremità opposta, il tempo impiegato è di quattro
ore; ogni segmento corrisponde ad un intervallo di tempo di 20 minuti
pari a un angolo di 5 primi"44
La
precisione della lettura in secondi venne poi confermata da
al-Biruni,
al-Marrakushi
e da al-Kashi.
Al-Khujandi usò il suo strumento per misurare l'angolo del sole
sull'orizzonte nei solstizi d'estate. Per come abbiamo scritto nel
nostri quattro libri sul tema, l'utilizzo dell'Argimusco,
anche per ragioni climatiche, era legato al solstizio estivo,
esattamente come il sestante
di al-Khujandi.
Le misurazioni del sestante
dell'Argimusco
permettevano,
insomma, di computare l'obliquità dell'ellittica per le varie
funzionalità necessarie ai vari utilizzi medici propri della
medicina
astrale.
Ma
c'è di più. Come detto, i sestanti di pietra di al-Khujandi e
quello dell'Argimusco,
per come evidenziato nel testo di O'Connor
citato in nota, avevano
una precisa funzionalità per i solstizi, in particolare, per quello
estivo. Sin dal 2010 abbiamo sostenuto45,
tra l'incredulità di tanti, che i megaliti
dell'Argimusco
sono uno specchio
delle costellazioni
presenti all'orizzonte in direzione sud, da est ad ovest. Unica
differenza è che nel 2010, sostenevamo che la precisa corrispondenza
tra i megaliti
e le costellazioni
fosse evidente durante l'alba del solstizio del 10.500 A.C., ovvero
in epoca preistorica. La scoperta da noi successivamente fatta delle
numerosissime
controprove sull'origine medievale ci ha portato a rivedere le nostre
stesse tesi sulla data di origine del sito.
Non
solo. Nel successivo libro del 201146,
ci accorgemmo anche che la corrispondenza tra megaliti
e costellazioni
era altrettanto e ancor più speculare durante il tramonto delle
serate estive del mese di giugno nel 1300, come anche oggi, causa il
lentissimo spostamento precessionale delle stelle.
Lo
studio citato in nota conferma, dunque, le nostre vecchie tesi
sull'utilizzo del sestante
di pietra per la lettura delle costellazioni,
in particolare, durante il solstizio d'estate.
Ricordiamo
che, come già esaminato nei suoi testi, Arnau
de Vilanova aveva studiato e utilizzava assiduamente il sestante per
le tecniche medico-astrologiche arabe, conoscendo bene la lingua
araba. Potrebbe essere, dunque, stato Arnau ad applicare
sull'Argimusco quelle pratiche
di lettura dei cieli in gran voga presso gli astronomi
arabi?
Ancor di più lo
studio conferma il perché sull'Argimusco
furono realizzate solo quelle
dieci costellazioni e non altre
costellazioni, ad es. dello
zodiaco.
Il motivo è
legato all'utilizzo del sestante
di pietra, insieme all'astrolabio
e alla sfera di Pitagora
(del cui utilizzo ci parla diffusamente lo stesso Arnau), per le
misurazioni celesti.
Le costellazioni
che si vedevano dal sestante
arabo sull'orizzonte sud, sud est e sud ovest, al solstizio estivo
dell'Argimusco nel 1310 e 1311
erano esattamente le dieci costellazioni
riprodotte sul sito come statue
megalitiche. Non è un caso, lo
ripetiamo, che l'unica costellazione non riprodotta sul sito è
quella dello Scorpione, oggi
come allora coperta a sud dall'Etna.
La riproduzione speculare di quelle dieci costellazioni
sulla terra (Cygnus, Sagitta,
Aquila, Serpens,
Serpentarius, Leo,
Virgo, Corvus,
Hydra e Crater)
aveva due funzioni: 1) sulla base delle teorie di Al-Kindi
e Thebit ibn Qurra permetteva
di trasmettere, tramite la specularità delle statue
megalitiche, gli attributi
propri di quelle certe costellazioni
a chi le guardava, per finalità mediche di melotesia
2) consentiva di meglio identificare le costellazioni
presenti sul cielo estivo viste dal sestante
di pietra facendo riferimento alle sottostanti statue.
Le tacche incise su di esse,
tutt'ora visibili sull'Aquila,
accanto al Leone, sulla
Sagitta, sulla Civetta
e su altre pietre, consentivano
di misurare i vari gradi delle fasi
lunari per le applicazioni
mediche e per l'applicazione dei salassi,
in particolare.
Tante
era importante l’uso del sestante
arabo per Arnau
de Vilanova che egli consigliava sempre al medico di utilizzare,
comunque, la luna
e il sestante
quale riferimento per le misurazioni dei quadranti al punto da dire
che quando il medico non poteva facilmente calcolare il movimento dei
pianeti, questi poteva comunque esaminare per maggiore efficacia la
luna47.
Trattasi,
dunque, di una medicina astrologica e, comunque, lunare.
Abbiamo
già visto che nei libri Regimen
Podagre e Regimen
Sanitatis, lo stesso Arnau fornisce accurate istruzioni per fare
certe terapie utilizzando la Sfera
di Pitagora,
insieme al classico astrolabio48
utilizzato in connessione con il sestante,
come da pratica astronomica e da iconografia medievale qui riportata,
al fine del calcolo delle fasi
Lunari.
Ricordiamo che Arnau raccomanda di evitare
di fare salassi
con la Luna
in gemelli.
Gli
indizi di tipo letterario e storico raccolti continuano a riportare
sempre un unico nome ricorrente. Un nome di un personaggio che,
peraltro, sappiamo avere vissuto nelle immediate vicinanze. Il
maestro Catalano Arnau de
Vilanova è stato, dunque, l’autore dell’Argimusco?
LA
VASCA PER LE SANGUISUGHE
Sopra
il megalite della Vergine
è la “Vasca”. Essa è
stata variamente definita come tomba o come vasca
per la raccolta delle acque per non meglio definiti riti.
Nel
precedente libro ipotizzammo che sarebbe stata usata per delle
pratiche (antiche ma ben documentate) legate alla cura e alla
rigenerazione del corpo fisico, tecniche in uso presso la
Confraternita
dei Rosacroce.
Tutto il grande "Specchio
del cielo", dicevamo, sarebbe stato, di fatto, concepito come
funzionale allo scopo della medicina
delle stelle.
Infatti, quale attributo veniva attribuito nel Medioevo
al cielo e alle stelle?
l'immortalità, appunto49. Ricordiamoci
l'incipit della famosa “Tabula
Smaragdina”: “Verum sine mendacio, certum et verissimum. Quod est
inferius est sicut quod est superius, et quod est superius est sicut
quod est inferius ad perpetranda miracola Rei Unius”.
Lo
specchio
magico del cielo, dicevamo, faceva sì che tale attributo celeste
venisse rispecchiato sulla terra. "Come
in cielo così in terra",
prima di essere una frase della preghiera cristiana del Padre Nostro
era una delle basi dell'insegnamento di Ermete
Trismegisto. Oggi come allora lo "Specchio
del cielo" funziona: esso fa sì che la "qualità"
dell'immortalità possa essere rispecchiata su chi sta sotto le
stelle,
nelle tiepide serate estive, sull'Argimusco”,
dicevamo50.
Da
allora la nostra ricerca sui testi e sulle fonti storiografiche ha
fatto emergere diverse e più concrete ipotesi di soluzione
dell'enigma della vasca.
In
particolare, la comprensione dell'origine e della funzione del
sestante di pietra ci fanno
capire anche la funzione della vicina vasca.
Più
proisacamente, oggi, riteniamo, infatti, che la vasca
non fosse altro che uno strumento medico necessario alla terapia
mediante salassi.
La
medicina astrale insegnava che,
per mezzo della Sfera di
Pitagora (chiamata anche di
Apuleio), usata per le diagnosi e le previsioni mediche insieme al
Sestante di pietra arabo, il
medico poteva capire quando procedere all'applicazione delle
sanguisughe.
Al
fine di evitare collassi i
pazienti che avevano subito la
flebotomia e/o l'applicazione
di salassi dovevano
essere messi a testa in giù.
Il
piano scosceso attiguo al sestante
di pietra, secondo noi, veniva utilizzato per mettere i pazienti a
testa in giù per evitare,
appunto, il collasso. Forse la tipica colorazione rossastra della
pietra era legata alla dispersione di sangue dovuta alla
flebotomia. Più
probabilmente trattasi del tipico colore rossastro dell'arenaria.
Rimane il fatto che il piano scosceso era opportunamente vicino al
sestante e alla vasca per le sanguisughe.
Certamente,
lo stesso Arnau de Vilanova, in
numerosi scritti sulla materia,
diede istruzioni su come somministrare i salassi
sulla base dell'osservazione delle fasi
lunari, consigliando di farli
durante i giorni lunari
dell'Hydra nei mesi di aprile,
maggio e settembre. Arnau nella tecnica del salasso si rifaceva agli
scritti di Avicenna quali il
Kitāb al-Qānūn e,
specialmente, all'al-Tasrīf
li-man ʿajaza ʿan al-taʿlīf di Abulcasis
(Abu al-Qasim Khalaf ibn
al-Abbas al-Zahrawi).
Cosa
manca al contesto di chiara funzionalità medica medievale? Gli
strumenti principi del salasso, ovvero le sanguisughe.
Dove venivano messe? E' la
stessa tecnica medica ispanica
che ci informa di contenitori di sanguisughe
in grandi vasi di terracotta o scavati nella pietra.
Ne
riviene che la vasca
dell'Argimusco, sita accanto al
sestante arabo di pietra e
accanto al piano inclinato, era proprio la vasca
per l'allevamento delle sanguisughe.
La
vasca
scavata nella roccia, non è come qualcuno dice una tomba51,
ma, dunque, proprio la canonica vasca
d'acqua necessaria per allevare le sanguisughe
necessarie ai salassi,
almeno nel periodo
estivo. Il plateau
scosceso era, forse, il luogo in cui si sarebbero sdraiati i pazienti
durante i salassi.
Il
quadro diventa sempre più chiaro. L’Argimusco aveva una funzione
medica.
PAUL DEVINS & ALESSANDRO MUSCO
1
Sul tema dei megaliti e costruzioni allineate tra la sterminata
bibliografia vedi Il mistero di Orione di R. Bauval e A. Gilbert,
Corbaccio 1997 e “Impronte degli dei”, di G. Hancock 1997
2
Sulle costellazioni vedi Piero Bianucci “Stella per Stella”,
Giunti 1997
3
La duplice figura dell’aquila e del serpente (che segue sul
pianoro) acquistava il significato del Cielo e della Terra, della
lotta tra l’Angelo e il Demone, metafora del contrasto tra bene e
male. In alchimia l’aquila è lo spirito costretto nella materia
bruta che si libera solo dopo la fase di riscaldamento prolungato
nell’Athanor e si concretizza nell’alto dell’alambicco.
L’aquila bianca fu percepita come una proiezione maschile
associabile al potere soprannaturale e il suo sangue, nelle vecchie
farmacopee, veniva prescritto come un rinvigorente delle forze e
unico mezzo per ridonare la fecondità delle donne sterili. Tanto il
megalite a forma di aquila quanto il menhir più alto sono allineati
esattamente lungo l'asse est-ovest. Ciò significa che ponendosi con
le spalle rivolte al megalite cosiddetto “fallico” e guardando
l'Aquila si può vedere sorgere il sole esattamente dietro
quest'ultima nei giorni degli equinozi (di Primavera e di Autunno)
Analogamente ponendosi con le spalle di fronte al rapace e guardando
il menhir si può vedere tramontare il sole esattamente ad ovest
sempre nei medesimi giorni: osservazione fatta da Ignazio Burgio in
un ottimo studio (il migliore presente su internet) “Le pietre dei
giganti, gli orientamenti astronomici dei megaliti di Montalbano
Elicona”
4
La leggenda è riportata da Igino insieme a molte altre su “De
Astronomia”
e nelle “Fabulae”.
Di recente è stata ripubblicata la Mitologia Astrale di Igino cfr.
, Igino Mitologia Astrale, 2009, Adelphi
5
Ovidio in “Metamorfosi”, libro X, 155-161: “Una volta il re
degli dei, d’amore ardendo per il frigio Ganimede, si mutò in
nuove sembianze che più belle gli parvero di quelle divine. Fra
tutti gli uccelli degno di sé stimò quello capace di portare le
sue saette. Senza indugiare, l’aria battendo con false penne rapì
il giovinetto della stirpe di Ilo, che ancora oggi mesce il vino e
il nèttare serve a Giove, Giunone ostile”.
6
Vedi Igino nelle Favole “Homines
antea ab immortalibus ignem petebant neque in perpetuum servare
sciebant; quod postea Prometheus in ferula detulit in terras,
hominibusque monstravit quomodo cinere obrutum servarent. Ob hanc
rem Mercurius Iovis iussu deligavit eum in monte Caucaso ad saxum
clavis ferreis et aquilam apposuit, quae cor eius exesset; quantum
die ederat, tantum nocte crescebat. Hanc aquilam post xxx annos
Hercules interfecit eumque liberavit”.
7
C’è una grande varietà di interpretazioni sull’identità del
personaggio del Serpentario, ma secondo gli astronomi greci, si
tratterebbe di Asclepio (Esculapio per i Romani), figlio di Coronide
e di Apollo, dio del Sole. Il piccolo venne affidato all’educazione
del centauro Chirone, da cui apprese così bene le arti curative da
essere considerato da molti mitografi il padre della medicina. Un
giorno Asclepio fu chiamato dal re Minosse perché salvasse dalla
morte il figlio Glauco, annegato in un grande vaso pieno di miele.
Mentre ne osservava il corpo esanime, notò un serpente che si
attorcigliava intorno alla verga di legno che teneva in mano: con
uno scatto repentino uccise l’animale utilizzando lo stesso
bastone. Poco dopo entrò nella stanza un altro serpentello con in
bocca un’erba che pose sulla testa del primo facendolo
resuscitare: Asclepio utilizzò la stessa erba su Glauco e riportò
in vita il giovane. Il prodigioso evento, però, non fu gradito ad
Ade, dio dei morti, il quale, vedendo minacciato il suo regno,
invocò l’intervento di Zeus. Questi uccise Asclepio con un
fulmine ma scatenò a tal punto la collera del padre che questi, per
vendetta, colpì a morte i tre Ciclopi che avevano forgiato le
saette. Per placare l’ira di Apollo, il re degli dei ne immortalò
il figlio sotto forma di costellazione. Il serpente attorcigliato
intorno ad un bastone, simbolo ancora oggi dell’arte medica, trae
la sua origine proprio da questo racconto mitologico.
8
Così ci narra l’episodio Ovidio nelle “Metamorfosi”, libro
II, 642-648 “Cresci, fanciullo, apportatore di salute a tutto il
mondo! Spesso i corpi dei mortali ti dovranno la vita. A te sarà
permesso di rendere l’anima a chi l’ ha perduta: ma quando avrai
osato farlo una volta, suscitando lo sdegno degli dei, il fulmine di
Giove tuo avo t’impedirà di farlo una seconda volta, e da dio che
sei diverrai corpo esangue e da corpo tornerai ad esser dio,
ripetendo due volte il tuo destino!…” Asclepio prese la stessa
erba e la pose sul corpo di Glauco, e l'effetto magico si ripeté.
(Robert Graves sostiene si trattasse di vischio che per gli antichi
aveva forti proprietà rigenerative.) A causa di quest'incidente,
dice Igino, Ofiuco è rappresentato in cielo con in mano un
serpente, che è divenuto il simbolo del recupero della salute per
la caratteristica che i serpenti hanno di cambiare pelle ogni anno,
come se ogni volta rinascessero.Altri, però, dicono che Asclepio
ricevette dalla dea Atena il sangue di Medusa la Gorgone. Il sangue
che sgorgava dalle vene del suo fianco sinistro era velenoso, ma
quello del fianco destro aveva il potere di fare risorgere i morti.
Uno degli uomini che si suppone Asclepio abbia resuscitati fu
Ippolito, figlio di Teseo, che morì precipitando dal suo carro
(qualcuno lo identifica con la costellazione dell'Auriga). Mentre
prendeva le erbe guaritrici, Asclepio toccò per tre volte il torace
del ragazzo, pronunciando parole propiziatrici ed Ippolito sollevò
la testa. Ade, dio del Mondo dell'Oltretomba, si rese presto conto
che il flusso di anime morte nel suo regno si sarebbe drasticamente
ridotto se questa tecnica fosse diventata di conoscenza comune.
Protestò presso Zeus, il dio suo fratello, e quello colpì Asclepio
con la folgore. Apollo si sentì oltraggiato per il trattamento
severo riservato a suo figlio e si vendicò uccidendo i tre Ciclopi
che forgiavano le folgori di Zeus. Per placare Apollo, Zeus rese
Asclepio immortale (date le circostanze non era certo possibile
riportarlo in vita) e lo pose fra le stelle come costellazione di
Ofiuco.
9
L'idra compare in due leggende. La prima e la più nota è quella in
cui si racconta dell'Idra Femmina come della creatura che Eracle
combatté e uccise nella seconda delle sue famose fatiche. L'Idra
Femmina, una bestia dalle molte teste, era figlia del mostro Tefeo e
di Echidna, una creatura metà donna e metà serpente. Era quindi
consanguinea del dragone posto a guardia delle mele d'oro e
ricordato nella costellazione del Dragone. Si ritiene che le teste
dell'Idra fossero nove, e che quella posta in mezzo fosse immortale.
(In cielo, tuttavia, è raffigurata con una sola testa - forse
quella immortale.) L'Idra viveva in una palude vicino alla città di
Lerna e da quella di tanto in tanto faceva delle sortite nelle
pianure vicine, per divorare bestiame e devastare le campagne. Sia
il fiato che l'odore che si lasciava dietro erano ritenuti talmente
velenosi che chiunque li respirasse moriva tra atroci sofferenze.
Eracle raggiunse il nascondiglio dell'Idra sul suo carro e lo colpì
con frecce infuocate per costringerla a uscire allo scoperto, dove
l'affrontò. L'Idra gli si avvolse intorno a una gamba; con il
bastone Eracle le sfondò le teste, che però, appena distrutte,
ricrescevano immediatamente in numero doppio. Ad accrescere le
preoccupazioni dell'eroe, un granchio saltò fuori dalla palude e
l'attaccò al piede che aveva libero, ma Eracle lo schiacciò
uccidendolo. Il granchio è commemorato nella costellazione del
Cancro. Eracle chiese aiuto al suo cocchiere Iolao, che bruciò il
moncone di ciascuna testa non appena Eracle la mozzava per evitare
che ne crescessero altre al suo posto. Alla fine Eracle tagliò la
testa immortale dell'Idra e la seppellì sotto una pietra enorme al
lato della strada. Tagliò per lungo il corpo della bestia e immerse
le sue frecce in quel fiele velenoso.
10
Curiosamente molti cognomi in Sicilia, tanto orientale che
occidentale confermano l'interesse per tale materiale: Salnitro o
Salanitro.
11
Su un emblema alchemico che fa da frontespizio al commentario
biblico di un monaco del XVII secolo (“Glossae”
medievali di Strabone e di Nicola di Lyra, 1600). “Al centro della
figura presa in esame campeggia una gallina che cova cinque uova,
accovacciata sul suo nido. Subito sotto al nido si incrociano un
caduceo e una tromba da araldo, annodati tra loro da un legaccio.
L’immagine della gallina che cova è incorniciata da due figure
mitologiche: a sinistra di chi guarda è raffigurato il busto della
dea Athena-Minerva, che reca sul petto l’Egida con la testa della
gorgone Medusa ed è sormontata da una civetta. Dalla parte opposta
troviamo invece il busto del dio Hermes-Mercurio, che reca un
sacchetto di monete appese al collo ed è sormontato da un gallo.
Tra il gallo e la civetta si srotola il motto “Noctu
Incubando diuque”
(“covando notte e giorno”) ed è raffigurata una lampada ad olio
da cui si sprigiona una fiamma ardente. Tra la tromba araldica e il
caduceo è infine possibile scorgere un oggetto di difficile
intelligibilità, che appare come il guscio vuoto di una conchiglia
munita di due aperture” Cristianesimo e Alchimia di Padre Antonio
Gentili e Alessandro Orland, Esonet, internet. La civetta è un
attributo di Athena (vedi M.V. Cartari Reggiano, Immagini delli dei
de gl’antichi, Venezia 1647)
12
Nell'opera alchemica “Emblemata”
Attributi di Athena (M.V. Cartari Reggiano, Immagini delli dei de
gl’antichi, Venezia 1647) vi sono Mercurio e Minerva insieme, con
caduceo e civetta, e la legenda recita: “In
Nocte Consilium”.
Un secondo emblema ci mostra Minerva e la civetta in un paesaggio
notturno e la scritta dice: “Nocte
vigent sensus, hinc est sacrata Minervae Noctua, quae triplici
lumine nocte videt”.
In un'altra raffigurazione alchemica intorno ad una civetta posta su
dei libri l'iscrizione, "Semper
solus",
atta a descrivere lo studio del ricercatore nelle materie ermetiche.
13
C.G. Jung Volume Thirteeen “Alchemical
Studies”,
figura B7. Sotto la figura stava scritto: “Picture
of the pellican, the vessel in which the circulatory distillation
takes place” Page from Rhenanus, Solis e puleo emergentis sive
disertationis chymotechnicae libri tres
(Frankfurt a.M. 1613). Nell'articolo “Cristianesimo e Alchimia”
su Esopedia, Internet, di Padre Antonio Gentili e Alessandro Orland
vediamo che l'iconografia del pellicano e del vaso Jung l'aveva
tratta dal libro di Giovan Battista Della Porta, De Distillatione,
Roma 1608
14
Nei canti XXIV e XXV del Paradiso si trova il triplice bacio del
principe Rosa Croce e il pellicano, (…). queste metafore erano già
adoperate dai Pauliciani predecessori dei Catari nei secoli X e XI,
P.Sedir Il segreto dei Rosacroce, G.Casini, 2010, pag. 15
15
"Cavaliere Rosa-Croce" è la denominazione di uno dei
gradi della massoneria del "Rito Scozzese Antico e Accettato"
(il 18º grado è appunto quello di Sovrano Principe Rosa+Croce o
Cavaliere dell'Aquila e del Pellicano).
16
Il testo è presente in “Les
oeuvres alchimiques attribuées à Arnaud de Villeneuve”
di Antoine Calvet, S.E.H.A. ARCHE', prefazione di Sebastià Giralt,
2011, pag. 557 e ss.
17
F.T.Paracelso, Scritti, Brancato, 1991, pag. 159.
18
Bacone ci dice che Artefius visse 1025 anni (cfr, Bacone in Liber
sex scientarum in 3e gradu sapiencie,
ed Little and Withington, Fratris
Roger Bacon, De
retardatione accidentium senectutis cum aliis opusculis de rebus
medicinalibus,
p. 181-186)
19
Le
statuette di cera o di altro materiale, vastamente utilizzate nella
Spagna culturalmente arabizzata di Alfonso X il Saggio, attrassero
l'attenzione dei giuristi compilatori del Siete Partidas:
la creazione di statuette di cera “for amourous enchantment were
just as dangerous as summoning spirits”. Pertanto
nel Siete Partidas la creazione di statuette venne messa in analogia
alla somministrazione di tinture di erbe che potevano causare la
morte di coloro che le avevano assunte,
“...because all of these practises could potentially end a
person's life, the jurists bundled them together”, vedi
A Kingdom of Stargazers: Astrology and Authority in the late
Medieval Crown of Aragon di Michael
E. Ryan 2011 pag. 93, 94 che cita Samuel Parsons Scott e Robert
Ignatius Burns Las Siete Partidas, 5 vol. Philadelphia, University
of Pennsylvania Press 2000
20
Il Pergamenthandschrift
M II 141 è un manoscritto del quindicesimo secolo in deposito
presso la ForschungBibliothek di Gotha in Germania. Si tratta di una
delle numerose edizioni del Liber
locis stellarum fixarum che Al Sufi scrisse nel 964 per
tradurre dal greco l’Almagesto
di Tolomeo e che riconsegnava al mondo medievale le conoscenze
astronomiche della cultura greca rimaste dimenticate per quasi mille
anni. Questo manoscritto ha la caratteristica di rappresentare con
tratti stilistici occidentali le figure delle 48 costellazioni
tolemaiche. Il Pergamenthandschrift M II 141 è stato oggetto di
studio da parte di Gotthard Strohmaier che nel 1984 scrisse il
saggio Die
Sterne des Abd ar-Rahhaman as-Sufi, pubblicato nella RDT dalla
Gustav Kiepenheuer Verlag di Leipzig und Weimar,
21
“Orante” per come l’hanno chiamata il Pantano e il Todaro,
vedi loro opere citate in prosieguo
22
Sulla sua vita vedi il testo di V.
Casagrandi, La francescana Eleonora d'Angiò, regina di Sicilia,
Catania 1926 e A.
Kiesewetter il Dizionario Biografico Treccani
23
“item tabernalculum ligneum quod dedit regina Siciliae”. R.
Chabas Inventario
de los libros, ropas y demas efectos de Arnaldo de Villanueva,
in Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos”, 9, 1903, p.196 nota
citata in Francesco
Costa “Eleonora d'Angiò (1289-1343). Regina francescana di
Sicilia” in “I Francescani e la politica: atti del convegno
internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco - Franciscana
13/1
24
Eleonora d'Angiò trascorse gli ultimi anni della sua vita
indossando per devozione l'abito delle clarisse e vivendo in
solitudine e raccoglimento. Visse in una piccola villa, costituita
da alcune case terrane da lei fatte costruire con giardino e
cisterna, alle falde dell'Etna nel villaggio Guardia dell'antica
Malpasso. Venerando Bruno, dopo vari studi e proteste pubbliche, nel
gennaio 2007, con altri, promosse l'ottenimento del vincolo quale
bene culturale sull'area della Cisterna della Regina adiacente alla
villa, oggi ancora esistente ancorchè fortemente rimaneggiata nel
XIX secolo. Troppo tardi, l'incuria ha devastato tanto le case come
anche l'edicola votiva che la ritraeva con la Vergine Maria,
immagine oggi pressochè invisibile. Della regina Eleonora rimane la
figura sotto la Vergine nel mosaico dell'abside di sinistra della
Cattedrale di Messina. La grande cisterna del villaggio Guardia era
stata fatta costruire dalla regina a beneficio dei contadini del
luogo per irrigare le campagne. Dalla villa si recava spesso presso
i monaci benedettini dell'attiguo monastero di San Nicola l'Arena
per conversare o prendere parte ad esercizi di penitenza. Nel casale
La Guardia morì all'età di 58 anni il 9 agosto 1343. Come lei sua
figlia, Caterina, e le sue nipoti, Costanza e Bianca, figlie di
Pietro II si rinchiusero nel monastero delle Clarisse di Messina. La
figlia ne divenne l'abbadessa. Vale la pena dire che lo zio di
Eleonora era S. Luigi IX re di Francia e patrono dei Terziari
francescani e il fratello di Eleonora era S. Ludovico vescovo di
Tolosa. Per sua disposizione Eleonora venne seppellita nella chiesa
di san Francesco all'Immacolata a Catania, da lei fatta erigere
sopra il tempio romano dedicato alla dea Minerva. Oggi la sua
immagine danneggiata dai vari terremoti e incendi è visibile
nell'abside sinistra della Cattedrale di Messina, sul lato sinistro
in basso dell'immagine, cfr.Francesco Costa Eleonora d'Angiò
(1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la
politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura
di A. Musco - Franciscana 13/1, p. 217/18 e Mons.
Savasta Memorie storiche di Paternò, p. 164/66.
25
Nella versione del libro di Al-Sufi Ms Arabe 5036 c. 1430-1440,
Samarkand -Paris, Bibliothèque Nationale de France la Vergine ha
le braccia lungo il corpo. Nella versione in possesso del
Metropolitan Museum di New York la Vergine ha le braccia aperte sui
lati.
26
J.G. Frazer Il Ramo d'Oro, Newton Compton 2009
27
I Romani pregavano gli Dei con gli occhi rivolti al cielo e la mano
destra tesa (Virgilio - Eneide). La supina manus, col palmo della
mano aperta, dita unite e tese leggermente indietro è menzionata da
molti autori romani, tra cui Catullo e Virgilio. Tito Livio scrive
di Marco Curzio che "la sua mano tesa verso gli Dei in cielo,
ora ai Manes nel baratro ha dedicato se stesso". E un centinaio
di anni dopo Silio Italico, Valerio Flacco, e Papirio Stazio
riferirono come un romano pregava "alzando le palme delle sue
mani al cielo" (Val. Flacc. Argo). Infatti si pregava con una
mano alzata o con ambedue, ma rigorosamente in piedi (i Romani non
si inginocchiavano neppure agli Dei). Se si doveva pregare un Dio
terrestre l'orante sarebbe ricorso all'uso della mano destra, supina
manus, mentre la mano verso le stelle avrebbe diretto il palmo della
mano verso la dimora del Dio.
Ne conseguiva che pregando a Silvano si sarebbe potuto dirigere il palmo della mano verso una vicina foresta. Per pregare Neptunus, il palmo doveva essere diretto alle acque più vicine, mentre per pregare un Dio celeste, si poteva dirigere il palmo anche verso la Sua dimora terrestre, come un tempio o addirittura verso un altare a cui il Dio è stato invocato. Del resto il romano pregava rigorosamente in piedi, inchinarsi di fronte agli Dei o all'imperatore non era degno di un Romano e non veniva richiesto neppure agli schiavi. L'abitudine di inginocchiarsi o prosternarsi non era nè romana nì greca, ma prettamente orientale e barbarica. Sacrificare agli Dei celesti o terrestri richiedeva di servire le offerte e versare libagioni con la mano destra. Ma quando si sacrificava alle divinità infernali si teneva la sua mano destra prona manus e si serviva l'offerta con la mano sinistra versando i contenuti in una fossa scavata in terra. Alla fine del rito si faceva, infine, un gesto di liberalità, come aggiustarsi la toga o toccarla ecc. per indicare la fine del rito. Così anche presso i Greci il gesto di adorazione più importante è un braccio levato in alto, più in alto e con più vigore nel periodo arcaico, in confronto a quello classico, quando si consideravano sufficientemente espressivi anche i gesti più contenuti. Dalle testimonianze figurate non pare vi fosse differenza fra il sollevare la destra o la sinistra. Nella letteratura è detto: "pregare verso qualcuno" = τείνειν γεῖρά τινι (ad esempio Callimaco, Inno a Demetra., 131); e già in accadico si dice per pregare "alzare le mani", ed abbiamo di questo innumeri esempi anche nell'arte. Alla invocazione della divinità compiuta con una mano sola si contrappone quella con le due mani levate (Sittl, 187, nota 1) πάντες οἱ ἄνϑρωποι ἀνατείνομεν τᾶς χεῖρας εἰς τὸν οὐρανὸν εὐχὰς ποιούμενοι. Questa positura sembra fosse quella più frequente in epoca omerica, essendo usato il termine χείρας ἀναρχεῖν formalmente con il significato di pregare (ad esempio Iliade, vi, 257; Odissea, xx, 97). Il gesto delle mani giunte davanti al petto, con le palme aperte o incrociate o intrecciate aveva nel Vicino Oriente, a partire dal periodo sumerico in poi, generico significato di preghiera (vedi Treccani Schemata Enciclopedia dell'Arte Antica (1966) di I.Iucker e E.A.A., i, fig. 927; iii, figg. 535 s.; 1365; iv, figg. 1013 s., figg. 1253 ss.). In India sono Mudra dello Yoga antico. In India molte statue di dei Indù e di Buddah hanno le mani giunte in preghiera, posizione conosciuta come “Namaste Mudra”. I Mudra si usano tutt'ora nella meditazione per collegare i chakra minori delle mani e delle dita.
Ne conseguiva che pregando a Silvano si sarebbe potuto dirigere il palmo della mano verso una vicina foresta. Per pregare Neptunus, il palmo doveva essere diretto alle acque più vicine, mentre per pregare un Dio celeste, si poteva dirigere il palmo anche verso la Sua dimora terrestre, come un tempio o addirittura verso un altare a cui il Dio è stato invocato. Del resto il romano pregava rigorosamente in piedi, inchinarsi di fronte agli Dei o all'imperatore non era degno di un Romano e non veniva richiesto neppure agli schiavi. L'abitudine di inginocchiarsi o prosternarsi non era nè romana nì greca, ma prettamente orientale e barbarica. Sacrificare agli Dei celesti o terrestri richiedeva di servire le offerte e versare libagioni con la mano destra. Ma quando si sacrificava alle divinità infernali si teneva la sua mano destra prona manus e si serviva l'offerta con la mano sinistra versando i contenuti in una fossa scavata in terra. Alla fine del rito si faceva, infine, un gesto di liberalità, come aggiustarsi la toga o toccarla ecc. per indicare la fine del rito. Così anche presso i Greci il gesto di adorazione più importante è un braccio levato in alto, più in alto e con più vigore nel periodo arcaico, in confronto a quello classico, quando si consideravano sufficientemente espressivi anche i gesti più contenuti. Dalle testimonianze figurate non pare vi fosse differenza fra il sollevare la destra o la sinistra. Nella letteratura è detto: "pregare verso qualcuno" = τείνειν γεῖρά τινι (ad esempio Callimaco, Inno a Demetra., 131); e già in accadico si dice per pregare "alzare le mani", ed abbiamo di questo innumeri esempi anche nell'arte. Alla invocazione della divinità compiuta con una mano sola si contrappone quella con le due mani levate (Sittl, 187, nota 1) πάντες οἱ ἄνϑρωποι ἀνατείνομεν τᾶς χεῖρας εἰς τὸν οὐρανὸν εὐχὰς ποιούμενοι. Questa positura sembra fosse quella più frequente in epoca omerica, essendo usato il termine χείρας ἀναρχεῖν formalmente con il significato di pregare (ad esempio Iliade, vi, 257; Odissea, xx, 97). Il gesto delle mani giunte davanti al petto, con le palme aperte o incrociate o intrecciate aveva nel Vicino Oriente, a partire dal periodo sumerico in poi, generico significato di preghiera (vedi Treccani Schemata Enciclopedia dell'Arte Antica (1966) di I.Iucker e E.A.A., i, fig. 927; iii, figg. 535 s.; 1365; iv, figg. 1013 s., figg. 1253 ss.). In India sono Mudra dello Yoga antico. In India molte statue di dei Indù e di Buddah hanno le mani giunte in preghiera, posizione conosciuta come “Namaste Mudra”. I Mudra si usano tutt'ora nella meditazione per collegare i chakra minori delle mani e delle dita.
28Sull'uso
dell'astrolabio vedi Paolo
Trento “L'Astrolabio funzioni, storia costruzione”, Stampa
alternativa, 1989
29
Vernet
J.” The
scientific world of the crown of Aragon under James I “Al-Kindi
ideas were compiled and taken on by Arnaldo de Vilanova”
pag. 105; vedi ancora in “Arnaldo
de vilanova y el pensamiento islámico di Santonja
P.: “En Montpellier escribió Maestro Arnau sus libros
científicos, en los que dominó un galenismo arabizante, y en los
que está presente la influencia de los libros de al-Kindi. En este
ambiente de Montpellier,
donde las especulaciones escatológicas y los movimientos del
espiritualismo reformador tenían tanta predicación, se dedicó a
descubrir el futuro de la Iglesia a través de una exégesis, muy
personal, de algunos textos sagrados.
Pag. 45
30
Sul rapporto tra astrologia e governanti aragonesi vedi A
Kingdom of Stargazers: Astrology and Authority in the late Medieval
Crown of Aragon
di Michael E. Ryan 2011
31La
teoria più accreditata sulle origini del nome “alchimia” è
quella che la fa derivare dall’arabo. Infatti, “al” è
l’articolo determinativo mentre “khem”
significa “terra nera”, nome che, in epoca faraonica, indicava
anche l’Egitto (la terra nera farebbe riferimento al limo lasciato
dal Nilo). Quindi, il significato potrebbe essere “scienza nata in
Egitto”. Altri, invece, sono stati colpiti dai vocaboli greci
“als”
(als) e “cheimeia”
(cheimeia), che significano, rispettivamente, sale e fusione. Da
qui, l’interpretazione che viene data è “scienza che insegna la
fusione del sale” (questa versione è quella favorita da
Fulcanelli). Si veda Paolo
Cortesi, “Storia e segreti dell’Alchimia”, Newton &
Compton 2005, pp. 35-38. Fulcanelli, “Le dimore filosofali”,
Edizioni Mediterranee 1973, Vol. I, p. 63. Si segnalano alcune tra
le principali opere alchemiche: Alberto Magno, “De
alchimia”
(XIII sec.); Ruggero
Bacone, “Opus
maius“
(XIII sec.); George
Ripley, “Liber
duodecim portarum”
(1591); Paracelso, “De
Rerum natura”
(XVI sec.); Nicolas Flamel, “Sommaire
Philosophique”,
1561; Basilio
Valentino, “Triumph-Wagen
Antimonii
(il carro trionfale dell’antimonio)” 1604; Michel
Sendivogius: “Novum
Lumen Chemicum”,
1604. Scritti Rosa-Crociani: “Fama
Fraternitas”,
1611; The
Chemycal Wedding
” 1690. Fulcanelli: “Le
Mystere Des Cathedrales Et L'Interpretation Esoterique Des Symboles
Hermetiques Du Grand Œuvre”,
1925. Per una veloce e sintetica esposizione alchemica consigliamo
vivamente: “The
Weiser Guide to Alchemy” di
Brian
Cotnoir, Weiserbooks, 2006. Per un trattato di più alto valore
culturale segnaliamo invece “a tradizione ermetica” di Julius
Evola, Mediterranee, 1996. Segnaliamo, infine, gli scritti del
Gruppo di UR nel prosieguo del testo citati, in particolare gli
interventi di Abraxas, Ea, Luce, Negri, etc.. In KRUR 1929, Tilopa,
a pag. 154 e ss. Evola anticipò i temi del suo testo sopraccitato.
Il testo è oggi ricompreso nel terzo volume di Introduzione alla
Magia (titolo discutibile) delle Edizioni Mediterranee.
32
“Epistola
de reprobacione nigromantice ficcionis (de improbatione
maleficiorum)”,
a cura di S.
Giralt, AVOMO, VIII Barcellona 2004, p.302, redatta “contra
curiositatem eorum qui aliter quam virtute divinitus per gratiam
immediatam concessa garriunt asserendo se habere potenteciam demones
compellendi”
34
Il medico Arnau de Vilanova viene richiamato per il suo sigillo del
Leone famoso in epoca medievale per avere curato il Papa Bonifacio
VIII.
35
Guigonis
de Caulhiaco, Inventarium
sive chirurgia magna,
a cura di M.
Mc Vaugh, M.S. Ogden, Brill, Leida, 1997, vol. I, p. 380.
36
P.Negri Il linguaggio segreto dei Fedeli d'Amore, UR 1928, pag. 76
37
“Uno dei simboli comuni al cristianesimo e alla massoneria è il
triangolo nel quale è inscritto il Tetragramma ebraico [Nella
massoneria, questo triangolo è spesso designato con il nome di
delta, perché la lettera greca così chiamata ha effettivamente una
forma triangolare; ma non pensiamo che si debba vedere in questo
accostamento una qualsivoglia indicazione circa le origini del
simbolismo in questione; è evidente d'altronde che il significato
di quest'ultimo è essenzialmente ternario, mentre il delta greco,
malgrado la sua forma, corrisponde a 4 nell'ordine alfabetico e per
valore numerico], o qualche volta semplicemente uno “iod”, prima
lettera del Tetragramma, che in questo caso può esserne considerato
un'abbreviazione [In ebraico, il tetragramma è talvolta
rappresentato in forma abbreviata anche da tre “iod”, che hanno
una palese relazione con il triangolo stesso; quando sono disposti a
triangolo, essi corrispondono chiaramente ai tre punti del
“compagnonnage” e della massoneria], e che d'altronde, in virtù
del suo significato principiale [Lo “iod” è considerato
l'elemento primo a partire dal quale sono formate tutte le lettere
dell'alfabeto ebraico], è esso stesso un nome divino, anzi il primo
di tutti secondo certe tradizioni [Si veda in proposito «La Grande
Triade», cap. XXV]. Talvolta lo “iod” stesso è sostituito da
un occhio, che viene generalmente designato come l'«Occhio che vede
tutto» (The
All-Seeing Eye);
la somiglianza di forma fra lo “iod” e l'occhio può
effettivamente prestarsi a un'assimilazione, che del resto ha
numerosi significati sui quali, senza pretendere di svilupparli qui
interamente, può essere interessante fornire almeno alcune
indicazioni.” (Tratto da Renè Guenon, Simboli della scienza
sacra, 72, Symboles
fondamentaux de la Science sacrée
Traduzione di Francesco Zambon seconda edizione: aprile 1978 1962
editions Gallimard – Paris 1975 Adelphi edizioni s.p.a. –
Milano)
38"Allocutio
super significatione nominis "Thetragrammaton,
vedi J. Carreras i Artau, ‘La Allocutio super Tetragrammaton de
Arnaldo de Vilanova’, Sefarad, 9 (1949), 75–105
39
Vedi il testo “Francesco d'Assisi” di Jacques Le Goff su una
lettura critica del vero Francesco, Laterza 2000
40Cfr.
J. Perarnau, ‘Problemes
i criteris d’autenticitat d’obres espirituals atribuïdes a
Arnau de Vilanova’,
in ATIEAV, i. 29–31
42
O'Connor, John J, Robertson, Edmund F., "Abu
Mahmud Hamid ibn al -Khidr al-Khujandi,
MacTutor History of Mathematics University of St. Andrews
43
Tekeli Sevim (1960),'Nasiruddin,
Takiyuddin ve Tycho Brahe'nin Rasat Aletlerinin mukayesesi'.
Ankara Universitesi, Dil ve Tarih-Cografya, p.4 citato da O'Connor,
John J, Robertson, Edmund F. op.cit.
44
Todaro G. “Montalbano Elicona e i megaliti dʼArgimosco” 1994
45
Devins P. "Il mistero dell'Argimusco", ISBN 9781446784843,
2010
46
Devins P. "La Scoperta dell'Argimusco", ISBN
9781446604380, 2011
47
“quando
autem Medicus praticans non potest semper habere certa loca
planetarum ut omnia particularia, tunc hoc consideret in Luna maiori
efficacia”,
da De
Astrologia in Arnaldi Villanovani
Opera Omnia, col 2053-2072, ici col. 2070. Nella stessa opera Arnau
si dilungava sul tema della melotesia, di cui meglio parleremo in
prosieguo, ragionando sul collegamento tra le costellazioni e le
parti del corpo (l’Ariete che governa la testa, il Toro il collo,
etc.). Weill-Parot in Les images astrologiques au moyen age et a la
Reinassance, Paris, Champion 2002, pag. 474 e 476 dice che dai greci
in poi la luna è l’astro preferito dagli astrologi: “tout
aux yeux des anciens était comme suspendu aux phases de la Lune et
suivait le rythme de sa marche”.
Per riferimenti all'utilizzo alchemico della luna (lunastizi) vedi
pag. 100/101 in Augusto Pancaldi, Alchimia pratica, Brancato, 1991
48
Vedasi ancora Joost-Gaugier C. “Pitagora e il suo influsso sul
pensiero e sull'arte”, 2008 pag. 158 e ss. “La
majoria estaven dedicats al més difòs, l'astrolabi, una mena de
calculadora portàtil que servia per mesurar l'altura dels astres i
resoldre aixì tot de problemes d'astronomia esfèrica. En català
circularen diversos textos sobre l'astrolabi, alguns d'anònims o
amb una atribuciò falsa a Ptolomeu (…)”,
cfr. “L'astronomia
i l'astrologia en català a finals de l'Etat Mitjana”
Lluis Cifuentes i Comamala, in A. Amengual, G.X. Pons, J. March, Eds
Conferéncies de les Jornades de Commemoraciò i estudi de l'eclipsi
total de sol a la Mallorca de 1905, Mon soc, Hist. Nat. Balears.
Sulle tecniche astrologiche vedi Paolo Alasci, Enciclopedia delle
scienze occulte, Brancato 1991, pag. 27 e ss.
49
Arnau ha scritto alcuni testi alchemici sul tema della lunga vita
(testi controversi) quali il De
Vita Philosophorum, il De Conservanda juventute et retardanda
senectute, il De vinis,
etc.
50
Devins P. "La Scoperta dell'Argimusco", ISBN
9781446604380, 2011
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Fosse vero dove sarebbero le altre tombe? Non vi sono altre tombe
simili sull'Argimusco
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